Leggi razziali, Lia Finzi e i bambini ebrei di Venezia: "Così ci cacciarono da scuola"

video Il Regio Decreto Legge del 5 settembre 1938 sancì l'esclusione di persone di 'razza ebraica' dalla scuola: insegnanti, alunni e personale ausiliario. All'epoca Lia Finzi aveva 10 anni e doveva iniziare la quinta elementare. Il papà di Lia era ebreo, la madre no. Lia e la sorella Ada erano quindi considerate 'di razza mista': per questo motivo nell'ottobre del 1938 poterono frequentare i primi giorni di scuola a differenza di molti altri bambini. "Da piccoli certe cose non si notano - racconta Lia Finzi - Avevo visto che le bambine che uscivano con me durante l'ora di religione non c'erano più, ma non mi ero posta il problema". Dopo una decina di giorni però la nuova maestra le comunica in malomodo che non può più frequentare le lezioni con i suoi compagni di classe, perché lei è ebrea e gli ebrei non sono ammessi. Lia Finzi oggi ha 93 anni e vive ancora nella sua Venezia, dalla finestra di casa sua si può vedere la cupola della chiesa della Salute. Ha dedicato la sua vita all'insegnamento, alla politica e al bene pubblico. Ma soprattutto a tenere viva la memoria di quello che subirono migliaia di famiglie come la sua dopo l'emanazione delle leggi razziali. Con l'aiuto di Lia Finzi e di Maria Teresa Sega, storica dell'Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (IVESER), raccontiamo la storia dei bambini veneziani che con l'entrata in vigore della prima tra le leggi razziali vennero cacciati dalle loro classi. Al netto delle nuove disposizioni dello Stato fascista, la scuola elementare rimaneva obbligatoria per tutti: gli ebrei veneziani si organizzarono quindi in scuole parificate e continuarono a sostenere gli esami di fine ciclo nelle scuole pubbliche, come la scuola elementare San Girolamo e l'istituto Benedetti-Tommaseo di Venezia. Questo ha permesso la conservazione di importanti documenti che restituiscono vivida testimonianza di quanto accadde tra le mura delle aule veneziane dopo il 5 settembre 1938. Come è noto con l'armistizio dell'8 settembre 1943 l'Italia firmò la resa incondizionata agli Alleati. "Ma Badoglio e il Re, prima di fuggire come codardi, non pensarono di eliminare le leggi razziali", racconta Lia. Da allora per la famiglia Finzi come per altre migliaia di famiglie ebree iniziò se possibile un incubo ancora peggiore della guerra, con l'invasione dei nazisti e la creazione della Repubblica Sociale Italiana. Il padre di Lia decise di mettere in salvo le figlie in Svizzera, Paese neutrale, facendo una prima tappa a Milano e poi sperando di trovare un contrabbandiere in grado di aiutarli a superare il confine senza tradirli "perché i contrabbandieri oltre a prendersi una cifra spaventosa, talvolta denunciavano l'ebreo che accompagnavano per farsi dare i soldi anche dai fascisti". La famiglia di Lia riesce alla fine ad arrivare in Svizzera, la madre malata ad attenderli a Venezia. Torneranno tra le calli della serenissima solo a guerra terminata. "Fu un ritorno molto triste - ricorda Lia Finzi - non avevamo più una casa, mia madre era morta, avevo perso due anni di scuola e molti miei compagni non tornarono mai più". di Francesco Collina e Alessandra Del ZottoIn edicola l'iniziativa editoriale del gruppo Gedi per ricordare la Shoah. Dal 25 gennaio il libro di Primo Levi "Così fu Auschwitz"; dal 27 gennaio il "Baule dei segreti delle sorelle Bucci".

Leggi razziali, il banco vuoto di Lia Finzi e dei bambini ebrei di Venezia: "Così ci cacciarono da scuola"

video Il Regio Decreto Legge del 5 settembre 1938 sancì l'esclusione di persone di 'razza ebraica' dalla scuola: insegnanti, alunni e personale ausiliario. All'epoca Lia Finzi aveva 10 anni e doveva iniziare la quinta elementare. Il papà di Lia era ebreo, la madre no. Lia e la sorella Ada erano quindi considerate 'di razza mista': per questo motivo nell'ottobre del 1938 poterono frequentare i primi giorni di scuola a differenza di molti altri bambini. "Da piccoli certe cose non si notano - racconta Lia Finzi - Avevo visto che le bambine che uscivano con me durante l'ora di religione non c'erano più, ma non mi ero posta il problema". Dopo una decina di giorni però la nuova maestra le comunica in malomodo che non può più frequentare le lezioni con i suoi compagni di classe, perché lei è ebrea e gli ebrei non sono ammessi. Lia Finzi oggi ha 93 anni e vive ancora nella sua Venezia, dalla finestra di casa sua si può vedere la cupola della chiesa della Salute. Ha dedicato la sua vita all'insegnamento, alla politica e al bene pubblico. Ma soprattutto a tenere viva la memoria di quello che subirono migliaia di famiglie come la sua dopo l'emanazione delle leggi razziali. Con l'aiuto di Lia Finzi e di Maria Teresa Sega, storica dell'Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (IVESER), raccontiamo la storia dei bambini veneziani che con l'entrata in vigore della prima tra le leggi razziali vennero cacciati dalle loro classi. Al netto delle nuove disposizioni dello Stato fascista, la scuola elementare rimaneva obbligatoria per tutti: gli ebrei veneziani si organizzarono quindi in scuole parificate e continuarono a sostenere gli esami di fine ciclo nelle scuole pubbliche, come la scuola elementare San Girolamo e l'istituto Benedetti-Tommaseo di Venezia. Questo ha permesso la conservazione di importanti documenti che restituiscono vivida testimonianza di quanto accadde tra le mura delle aule veneziane dopo il 5 settembre 1938. Come è noto con l'armistizio dell'8 settembre 1943 l'Italia firmò la resa incondizionata agli Alleati. "Ma Badoglio e il Re, prima di fuggire come codardi, non pensarono di eliminare le leggi razziali", racconta Lia. Da allora per la famiglia Finzi come per altre migliaia di famiglie ebree iniziò se possibile un incubo ancora peggiore della guerra, con l'invasione dei nazisti e la creazione della Repubblica Sociale Italiana. Il padre di Lia decise di mettere in salvo le figlie in Svizzera, Paese neutrale, facendo una prima tappa a Milano e poi sperando di trovare un contrabbandiere in grado di aiutarli a superare il confine senza tradirli "perché i contrabbandieri oltre a prendersi una cifra spaventosa, talvolta denunciavano l'ebreo che accompagnavano per farsi dare i soldi anche dai fascisti". La famiglia di Lia riesce alla fine ad arrivare in Svizzera, la madre malata ad attenderli a Venezia. Torneranno tra le calli della serenissima solo a guerra terminata. "Fu un ritorno molto triste - ricorda Lia Finzi - non avevamo più una casa, mia madre era morta, avevo perso due anni di scuola e molti miei compagni non tornarono mai più". di Francesco Collina e Alessandra Del ZottoIn edicola l'iniziativa editoriale del gruppo Gedi per ricordare la Shoah. Dal 25 gennaio il libro di Primo Levi "Così fu Auschwitz"; dal 27 gennaio il "Baule dei segreti delle sorelle Bucci".

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