Bindi: «L'autonomia differenziata anticamera dello sfascio sanitario»
Albino Salmaso / PADOVARosy Bindi, ministro della Sanità nel governo Prodi, non ha dubbi: l'autonomia differenziata di Calderoli e Zaia va fermata. Il motivo? Rischia di disarticolare il Paese su materie fondamentali gestite dallo stato come la scuola, le grandi reti dell'energia, le infrastrutture stradali, ferroviarie e l'ambiente. La sua analisi parte dalla sanità: «La riforma del titolo V della Costituzione del 2001 è stata positiva, l'abbiamo fatta noi con il governo Amato. Ma non condivido la norma sull'autonomia differenziata per alcune materie. Oggi in Italia non esiste il sistema sanitario nazionale ma ci si cura con 21 servizi regionali assai diversi, che rischiano di snaturare i principi della riforma di Tina Anselmi del 1978, nella stagione della solidarietà nazionale. Il gap tra Nord e Sud si è allargato e tutti i sistemi federali, come la Germania e gli Stati Uniti, hanno una guida nazionale autorevole, l'Italia no, con il valzer dei governi a ogni legislatura. E così nelle Regioni sono proliferati modelli diversi e concorrenziali di assistenza, con la Lombardia che ha parificato il settore privato a quello pubblico, travolto dalla crisi con la pandemia Covid, per la carenza dei servizi territoriali. Bisogna puntare sulla qualità del servizio e non sulla gestione manageriale con il taglio dei costi. Mi auguro che la flat tax e l'autonomia differenziata della Lega non vengano mai approvate perché sono l'anticamera della catastrofe del sistema sanitario nazionale». L'ex ministra della Salute ha ribadito le sue critiche nel corso di un dibattito a Padova, al quale hanno partecipato anche Domenico Crisarà, presidente della Fimmg; Stefano Bellon, presidente di Altavita e Vanessa Camani, consigliera regionale del Pd. Il 15 aprile a Vicenza è in programma una grande manifestazione organizzata da Cgil Cisl e Uil a difesa del sistema pubblico: il Veneto deve fare i conti con un "arretrato" di 450 mila prestazioni. Le liste d'attesa si sono allungate con la pandemia e il consiglio di Crisarà è molto pragmatico: «È obbligo dell'Azienda garantire la prestazione, quando il Cup non rispetta i tempi della ricetta, con l'attività intramoenia. Si tratta di una procedura automatica che non viene mai applicata» ha detto il presidente del sindacato dei medici di base. «Ho lavorato con Tina Anselmi, Rosy Bindi, Livia Turco e Roberto Speranza, che sono stati ottimi ministri. Per uscire dall'imbuto formativo bisogna aumentare il numero delle borse di specializzazione, ora decise dalle università e non dal sistema sanitario nazionale. E poi non si possono pagare stipendi da 3 mila euro al mese a chi lavora di notte nel Pronto soccorso, il pareggio di bilancio inserito nella Costituzione è un errore imperdonabile che delega ad Agenas il potere decisionale». Crisarà ha poi sottolineato la nuova emergenza quotidiana: «Le aggressioni al personale sono intollerabili, c'è una violenza inaudita verso i medici e anche verso gli insegnanti che va fermata». Stefano Bellon ha invitato la Regione a potenziare le medicine di gruppo per coprire i territori lontani dal centro; le zone disagiate di Belluno e Rovigo sono state riconosciute dopo 35 anni ma non ci sono indennizzi adeguati. L'ultimo bando a Recoaro Terme, che prevedeva la macchina e la casa per il medico, è andato deserto, così si rinuncia a 1200 euro di bonus». Vanessa Camani ha sottolineato come la spesa sanitaria italiana sia nettamente inferiore alla media europea, la pandemia ha portato a galla le criticità che esistevano da tempo: «Il Veneto risparmia nelle erogazioni dei Lea e con Azienda Zero ha introdotto criteri rigidamente manageriali, ma si continua a tagliare posti letto senza aprire gli ospedali di comunità». --© RIPRODUZIONE RISERVATA