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Enrico FerroDalle destinazioni scelte come una roulette russa e senza diritto di replica, ai contributi che non arrivano, al rimpatrio previsto solo per le salme e non per le ceneri, alle multe da 30 euro per chi si allontana dai centri di accoglienza o ai finanziamenti pensati solo per tre membri della famiglia e non per tutti gli altri. Cronaca di un anno di accoglienza in Italia degli ucraini in fuga dalla guerra. Dopo l'invasione della Russia del 24 febbraio 2022 un popolo, quello ucraino, si è messo in cammino per fuggire da un destino nefasto. Ma la solidarietà ostentata a più riprese nei primi mesi non trova corrispondenza nei fatti. E così, dopo un anno, la conta delle cose che non vanno supera di gran lunga l'elenco di ciò che invece funziona. Adesso all'orizzonte c'è un nuovo ostacolo: i permessi di soggiorno. Solo in Veneto, entro i primi giorni di marzo, ne scadono 14.227.i numeriSecondo i dati della Protezione civile in Italia sono stati accolti 171 mila profughi ucraini e di questi 14.227 in Veneto. La provincia che ha accolto di più è quella di Venezia, non fosse altro perché all'inizio furono gli alloggi del litorale vuoti per la mancanza di turisti a essere utilizzati come rifugi. Ma con l'arrivo della primavera e poi dell'estate, questa massa composta da 10.700 donne e quasi 5 mila minori è stata espulsa per fare posto ai turisti. In linea di massima per tutti loro si è subito aperto un bivio: le case dei privati o i centri di accoglienza. «La maggior parte di loro ha scelto la strada delle abitazioni private», spiega Roberto Soncin, dell'associazione "Noi migranti" di Portogruaro. «Donne ucraine già residenti in Italia hanno provveduto a ospitarli o sono riuscite a convincere i datori di lavoro a farlo. In Germania c'erano pochi ucraini ma ne hanno accolti tanti. In Italia invece, dove la comunità era presente, è mancata una macchina organizzativa e tutto è stato caricato sulle spalle dei privati». Dunque l'esperienza fatta con le migrazioni da Africa e Nordafrica non è servita a nulla. «La maggior parte se n'è andata via dall'Italia dopo pochi mesi, in Polonia e Canada. Altri sono tornati in Ucraina pensando che la guerra stessa terminando» continua Soncin. sussidiPer le persone ospitate da privati il Governo Draghi prevedeva un contributo economico, non alle famiglie che li ospitavano ma ai profughi: 300 euro al mese per ogni adulto, 150 euro al mese per ogni minore, tutto per 3 mesi. Finiti i tre mesi il sussidio non è stato più rinnovato. In Veneto le associazioni (Amvo Noi Migranti Odv, Roksolana, La Rondine Aps, Ucraina Insieme, Comunità ucraina di Vicenza, Malve di Ucraina, Forum Terzo Settore Veneto, Cisl Veneto) hanno scritto al Governo chiedendo un prolungamento del sostegno. Ma nessuna risposta è stata data. Nel frattempo sono schizzate le bollette per luce e gas. A tutta questa situazione si è aggiunto un altro problema serio: la Protezione civile ha cristallizzato come data di arrivo non quello dell'effettivo ingresso sul territorio nazionale, ma quello successivo indicato nel permesso di soggiorno. «Sono passati anche 3 o 4 mesi prima di avere il permesso di soggiorno» aggiunge Soncin. «Questo ha contribuito ad allungare i tempi necessari per percepire l'esiguo contributo». Senza scordare che chi dall'ospitalità nelle abitazioni private è passato ai centri di accoglienza, ha perso il diritto al sussidio.centri di accoglienzaNei centri di accoglienza hanno applicato le stesse regole che si applicano ai richiedenti protezione internazionale: 2,5 euro a persona con tetto massimo di tre componenti familiari. Quindi nulla per le famiglie numerose, nonostante i bambini in età scolare. Il pocket money veniva erogato dalle cooperative che avevano in appalto il servizio, con ritardi e mancati adempimenti. E con soluzioni "ibride" fuori da ogni diritto alla mobilità. Alcune cooperative si sono inventate la regola per cui se un ucraino decideva di andarsene dal centro, doveva pagare una multa da 30 euro alla struttura. Il tutto scritto in una sorta di contratto capestro fatto firmare all'ingresso.chi va doveAltro tasto dolente è il "chi va dove". «Bisognava scegliere il posto in cui stare a scatola chiusa» spiega Soncin. «Li mandavano tutti a Belluno nelle zone più remote, in montagna. Ma questa è una diaspora che vuole lavorare. Se rifiutavano venivano cancellati dall'elenco dei bisognosi dalla Protezione civile. Erano solo le Prefetture a decidere dove doveva andare la gente, non erano ammessi suggerimenti esterni». Destini di persone freddamente affidati a funzionari pubblici. permessi di soggiornoOra c'è l'incubo dei permessi di soggiorno che aleggia tra gli ucraini, che nel frattempo se ne sono andati in giro per l'Europa. «Se si deciderà di gestirli con gli appuntamenti, sarà un'impresa campale» sintetizza Soncin. «La speranza è che decidano per i rinnovi automatici. In linea di massima speriamo che il Governo intervenga per rispondere concretamente alle esigenze minime dei profughi». --© RIPRODUZIONE RISERVATA