«Auto, dall'Europa solo ideologie benefici per pochi, danni a tanti»

Paolo Baroni /ROMA«Lo stop alle auto diesel e benzina dal 2035 decretato dal Parlamento europeo? È il frutto a mio avviso di una visione miope, ancora ideologica, che prescinde dalla realtà, come se nulla fosse accaduto nel frattempo» risponde il ministro per le Imprese ed in Made in Italy Adolfo Urso, che ora punta a sfruttare la clausola di revisione che matura nel 2026 e intanto dice no ai nuovi motori Euro7. «La guerra della Russia dovrebbe averci insegnato qualcosa - spiega -. Non si può dipendere da altri: ieri dalle fonti fossili russe, oggi dalla tecnologia green cinese. Per non citare la dipendenza dalle terre rare. Dobbiamo avere una visione più adeguata alla realtà, per cambiarla davvero, innovando senza distruggere. Noi siamo assolutamente convinti che bisogna raggiungere quegli obiettivi e nei tempi prefissati ma occorre graduare meglio le tappe ed essere più flessibili nelle modalità: per esempio per quanto riguarda l'uso del biocombustibile, poi del biometano, quindi dell'idrogeno. L'elettricità non è una religione ma una tecnologia e noi dobbiamo avere un approccio neutrale sulla tecnologia da usare. Qualcuno diceva "non importa se il gatto sia bianco o nero purché prenda il topo"». Troppo furore ideologico senza tener conto delle ricadute? «La politica dei feticci non mi è mai appartenuta. Mio padre mi portava ogni giorno in fabbrica, nei mesi estivi, sin da bambino, per condividere la fatica del lavoro. L'automotive rappresenta circa il 20% del Pil italiano, oltre 260 mila lavoratori, su essa è nato il miracolo economico del dopoguerra. La notizia sul voto del Parlamento europeo ci è giunta mentre eravamo a confronto con Stellantis e coi sindacati sul piano industriale dell'azienda ma noi non molliamo. Noi siamo impegnati ogni giorno per recuperare errori ed omissioni ed attrezzare il Paese a questa decisiva sfida». In Italia ci sono almeno 70 mila posti a rischio nella filiera dell'automotive, il governo precedente ha sottovalutato questo dossier? «Non voglio accusare nessuno, non l'ho mai fatto. Guardo solo ai ritardi accumulati per conoscere la strada che dobbiamo percorrere e invertire subito un declino che non è un destino: nel 2022 sono stati prodotti in Italia appena 476 mila autoveicoli. Troppo poco per rispondere alla domanda e sostenere la filiera. Il Governo ha stanziato quasi 4 miliardi per gli incentivi all'acquisto (dal 2019 alle risorse programmate per il 2024), pur con una risposta eterogenea del mercato: su endotermico a bassa emissione sono stati in breve tempo utilizzati, mentre proprio gli incentivi sull'elettrico puro non hanno avuto un buon riscontro, anzi peggio: nel 2022 sono rimaste inutilizzate risorse per 127 milioni di euro. Peraltro allo stato vi sono appena 37mila colonnine da ricarica nella nostra Penisola, stiamo recuperando ma siamo ancora molto indietro: nella piccola Olanda ne hanno installate già 90mila. La parte più significativa degli acquisti è andata alle autovetture Stellantis, ma circa la metà riguarda modelli prodotti dall'azienda in stabilimenti all'estero. Le sembra possibile? Insomma per spiegarci meglio: con i soldi degli italiani abbiamo incentivato la produzione e il lavoro in altre parti d'Europa! Aggiungo: con il denaro di tutti abbiano aiutato i pochi che potevano già permettersi di comprare le auto elettriche. La "rivoluzione elettrica" non può trasformarsi nel nostro Paese in un beneficio per pochi e in un danno per molti. Non è un "ballo in un salotto" per chi vive nelle ZTL». Nel 2026 si apre la finestra per una possibile revisione del piano: cosa volete fare? «Si la clausola di revisione del 2026 sarà una tappa decisiva, per noi dovrà essere di svolta. Peraltro in quella data avremo una nuova Commissione e un nuovo Parlamento europeo che saranno decisi anche dai lavoratori italiani. Ci prepariamo sin d'ora con le giuste alleanze, sappiamo di essere dalla parte della ragione». E di qui ad allora? «Nel frattempo, siamo impegnati ogni giorno nell'accelerare la riconversione produttiva. Proprio per questo chiediamo maggiore flessibilità in Europa sull'uso delle risorse comuni per concentrare gli investimenti sulle tecnologie green e digitali: batterie, accumulatori, semiconduttori, carbone di silicio, intelligenza artificiale e ovviamente rete elettrica e colonnine da ricarica. L'Italia può fare molto e di più. Se avessero sincronizzato gli slogan con gli investimenti in questi ultimi dieci anni non saremmo così clamorosamente in ritardo». Dopo le auto, stando alla proposta fatta ieri dalla Commissione, toccherà poi a bus e camion: altri problemi in vista. «Siano già impegnati su questo dossier sin dai primi giorni di legislatura. Ne ho già parlato a Bruxelles e sarà oggetto anche dei prossimi incontri di lunedì con Habeck a Berlino e poi con Le Maire a Roma. Dobbiamo creare un fronte comune per gestire la transizione». Nell'attesa è immaginabile costruire una alleanza con altri grandi paesi produttori come Francia e Germania? «Sì, ma dobbiamo essere consapevoli che loro sono più avanti di noi. Basta mettere a confronto gli investimenti della stessa Stellantis nei due Paesi, per esempio sui modelli elettrici. Io che sono nato con il mito della Fiat e ricordo ancora la Seicento di mio padre con cui la nostra numerosa famiglia percorreva ogni anno l'autostrada del Sole per andare dalla Sicilia in Veneto, ricordo ancora lo schienale abbassato con quella coperta che mia madre poggiava e su cui noi bambini stavano in 4 ovviamente in spregio ad ogni regola di sicurezza... Ebbene, credo che sia necessario fare il massimo sforzo comune per recuperare il divario e trainare l'intera filiera dell'automotive. Noi supporteremo Stellantis ma l'azienda deve scommettere dove è nata». Di qui al 2035 ha senso un altro taglio delle emissioni passando a motori Euro7? «Mi chiedo se abbia senso obbligare ulteriori investimenti su un comparto già in sofferenza. Qui rischiamo di perire per eccessiva pianificazione». Se i piani non cambiano, però, siamo oggettivamente in ritardo sul passaggio all'elettrico. Come si rimedia? «Le risorse ci sono, vanno ben utilizzate. Altre intendiamo recuperarne dal Pnrr dal RePowerUE. Per indirizzarle sui grandi progetti e avviare un processo di autonomia strategica in settori chiave anche per l'automotive: penso innanzitutto alla siderurgia e ai semiconduttori. Abbiamo bisogno che il Sistema Italia agisca insieme perché questa è la scommessa del Paese, non di un governo». --© RIPRODUZIONE RISERVATA