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il casoDALL'INVIATO A BRUXELLES E adesso sono i Paesi del Nord Europa a chiedere la redistribuzione dei migranti perché i loro centri di accoglienza «sono al collasso». A portare la proposta al tavolo del Consiglio europeo è stato il premier belga Alexander De Croo, infuriato per via dei troppi movimenti secondari che arrivano dall'Italia e dagli altri Paesi del Sud: «La situazione da noi e in Olanda non è sostenibile». Nei mesi scorsi c'era già stato uno scontro con il governo Meloni perché Roma si era rifiutata di riprendersi i cosiddetti "dublinanti", ossia i richiedenti asilo che erano stati registrati nel nostro Paese e che poi si erano spostati verso Nord. Poi il ministro Matteo Piantedosi aveva ingranato la retromarcia, annunciando la ripresa dei trasferimenti. Il problema, però, è che molti dei migranti che arrivano nell'Europa settentrionale non sono mai stati registrati. E dunque non è possibile individuare il Paese in cui trasferirli. «Se vogliamo far sopravvivere l'area Schengen - ha avvertito De Croo - dobbiamo fare in modo che la gente venga registrata». Diversamente, secondo il premier belga, è necessario predisporre un meccanismo per far scattare una sorta di redistribuzione dai Paesi che si trovano sotto pressione. La questione è certamente controversa, dato che la proposta di introdurre un sistema automatico per la redistribuzione obbligatoria dei richiedenti asilo continua a essere osteggiata da molti governi. Anche il piano su base volontaria, avviato lo scorso anno, stenta a decollare: degli ottomila trasferimenti previsti, al momento ne sono stati effettuati poco più di duecento. Ci sono diversi problemi pratici e burocratici, ma non solo: secondo fonti francesi, dopo lo scontro dei mesi scorsi sulle navi Ong, Roma non avrebbe più fatto richiesta per trasferire a Parigi i migranti sbarcati sulle coste italiane. Nella tarda serata di ieri, la discussione tra i leader Ue è stata animata anche dalla richiesta austriaca di finanziare le barriere anti-migranti con i fondi del bilancio europeo. In particolare quella tra la Bulgaria e la Turchia. Con il cancelliere Karl Nehammer si sono schierati senza se e senza ma diversi capi di Stato e di governo. Per il polacco Mateusz Morawiecki bisogna «sigillare i confini perché la sovranità degli Stati non può essere minacciata». Per il greco Kyriakos Mitsotakis «è illogico che l'Ue si rifiuti di finanziare le recinzioni». È la posizione del Partito popolare europeo, ma non solo: si è espressa a favore anche la premier estone Kaja Kallas, del partito liberale. Mentre il gruppo dei socialisti-democratici al Parlamento europeo ha mandato un messaggio chiarissimo a Ursula von der Leyen: «Non un solo euro del bilancio europeo può essere speso per muri, recinzioni o filo spinato». Giorgia Meloni ha spiegato che il suo governo è «favorevole a tutto ciò che aiuta a contrastare l'immigrazione illegale» anche se «come Italia, chiediamo di occuparci del confine meridionale, che è marittimo e che per questo ha bisogno di richieste specifiche». Il Consiglio europeo ha poi affrontato il tema degli aiuti di Stato per aiutare l'industria europea nella transizione green e per rispondere all'Inflation Reduction Act americano. Il piano della Commissione per allentare i vincoli sul sostegno pubblico alle imprese è stato difeso a spada tratta dalla Francia e dalla Germania, ma diversi Paesi hanno espresso dubbi, anche con motivazioni opposte. I Nordici, che sostengono il libero mercato, vedono con molto scetticismo l'intervento pubblico massiccio nell'economia. Poi ci sono gli Stati come l'Italia che invece temono un aumento delle disparità tra i vari Paesi membri perché non tutti hanno lo stesso spazio fiscale e che per questo chiedono strumenti di finanziamento comune. Al momento non ci sono nuovi fondi sul tavolo. Il fronte degli Stati più cauti ha chiesto e ottenuto soltanto che la Commissione faccia un'analisi d'impatto periodica di queste misure e che presenti dei report al Consiglio per evitare che la situazione vada fuori controllo. --MA. BRE. © RIPRODUZIONE RISERVATA