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Luigi dell'OlioAmpliare l'offerta di servizi, in modo da difendersi dall'erosione dei margini dovuta alla crescente concorrenza, oppure mantenere il controllo diretto della struttura per non rinunciare al rapporto personale con la clientela? È il dilemma che affligge molti farmacisti alla luce dell'evoluzione che sta interessando il settore.Negli ultimi tre lustri vi è stata una duplice apertura del mercato: prima con il via libera alle parafarmacie per la vendita di prodotti senza obbligo di prescrizione medica, poi con l'incremento delle autorizzazioni e l'ingresso delle società di capitali nella titolarità dei punti vendita. All'esito di questo percorso, a fine 2021 in Italia si contavano 19.901 farmacie, 4.046 parafarmacie e 462 corner della Gdo, con gli ultimi due canali che dal 2010 in avanti hanno visto crescere l'offerta rispettivamente del 61 e del 68% contro il più limitato 12% delle farmacie. I dati, che emergono dall'ultima rilevazione di Mediobanca sul settore, evidenziano la pressione sui margini delle farmacie, che negli ultimi sei anni considerati sono passati da una struttura ogni 3.340 abitanti a una ogni 2.977, mentre di pari passo il fatturato medio (soprattutto a causa della concorrenza portata dai nuovi operatori) è sceso del 12,2%, attestandosi nel 2021 a 1,23 milioni di euro. Una tendenza dovuta al riassortimento della domanda e ai minori volumi venduti più che alla dinamica dei prezzi, segnalano da Mediobanca. Di fatto, oggi i ricavi per punto vendita sono di gran lunga inferiori a quelli di Francia (1,9 milioni) e Germania (3,3 milioni). La dimensione ridotta delle farmacie italiane trova riflesso anche nella pianta organica che si attesta a 4,5 dipendenti per punto vendita, contro i 5,9 della Francia e gli 8,7 della Germania. Uno scenario che apre le porte alle reti, che apre le porte alle reti, sia quelle virtuali, strutturate mediante affiliazione senza far venir meno l'autonomia proprietaria delle singole farmacie, sia quelle formali, nelle quali una holding detiene la maggioranza del capitale.Alla fine del 2021 le catene vere e proprie coprivano il 4% delle farmacie italiane, mentre le realtà affiliate il 20%. «L'avanzata è stata importante, ma tutto sommato limitata rispetto ad altri Paesi europei, un elemento che può essere spiegato con la rilevanza del rapporto personale tra professionista e cliente che caratterizza noi italiani», commenta Andrea Bellon, presidente di Federfarma Veneto. Il quale riconosce che, comunque, la pressione è crescente. «Alla luce non solo della congiuntura, ma soprattutto dell'evoluzione registrata negli ultimi anni dal mercato, o il farmacista ha le spalle larghe e riesce a investire per rinnovare la gamma di servizi o deve guardare a possibilità di integrazione - più o meno spinta - con altre realtà per migliorare la gestione delle farmacia e i processi relativi ad acquisti, logistica e marketing». Aspetti in passato secondari, ma che assumono una rilevanza crescente alla luce del fatto che la farmacia, per usare le parole dello stesso Bellon, «è ormai diventata un centro servizi, dalle analisi del sangue alle vaccinazioni, alla telemedicina, e questo richiede investimenti, specializzazioni professionali e spazi adeguati».Nel 2021 sono state 5.894 le farmacie che hanno dispensato servizi di diagnostica, con un incremento del 10% sul 2020. C'è poi la frontiera dell'e-commerce, che vale circa il 4,2% del mercato, quota che si confronta con il 10%-15% dei principali Paesi europei. Alphega farmacia (gruppo Alliance Healthcare), Apoteca Natura (network Aboca), Boots, Corofar Salute e Lafarmacia-Hippocrates Holding sono alcune delle catene che negli ultimi tempi hanno conosciuto una certa diffusione soprattutto nel Nord Italia, complice la presenza di tassi d'interesse eccezionalmente bassi che ha favorito il ricorso ai finanziamenti per gli investimenti. Il recente cambio di rotta da parte delle banche centrali costituirà un banco di prova anche per queste realtà. --© RIPRODUZIONE RISERVATA