Senza Titolo

Settanta secondi di applausi. Di telefonini con le luci accese. Di commozione che alla fine ognuno declina con ciò che ha nel cuore. Che sia ricordo oppure tifo, o quel qualcosa in più che fa dire ad una intabarrata Adele: «la sua battaglia, è anche la mia». Il perché e il percome non contano, e neppure se la battaglia è proprio sua o di qualcuno che le sta vicino. Lei insegue chi sente vicino.Lo Stadium silenzioso è qualcosa che non ti immagini fino a che Gianluca Pessotto non entra in campo e legge la lettera aperta per ricordare il suo compagno di squadra Gianluca Vialli. «Siamo sicuri che stasera sei qui, da qualche parte, in mezzo a noi» dice. «Siamo venuti in tanti per farti sapere che non ti dimenticheremo mai e non smetteremo mai di volerti bene come dal primo minuto». Niente cori. Nessuna sbavatura. I 39 mila 500 dello Stadium sono tutti in piedi. Vialli è stato l'eroe che ha regalato l'ultima Champions alla Juve. È stato l'uomo che ha pianto, come fanno quelli che ci credono davvero, dopo la vittoria dell'Italia agli Europei. Vialli, qui, sugli spalti, alla partita Juventus - Udinese, è quel giocatore che fatto urlare di gioia, sbandierare per strada, abbracciare uno sconosciuto, chi oggi ha 50 anni o poco meno. Per gli altri è un monumento del calcio bianconero e non soltanto. Per questo nessuno fiata. Nessuno si distrae. Incantati da Pessotto che legge lentamente, e ti sembra di cogliere una nota più bassa, come se fosse la voce che s'incrina: «Nessuno scorderà le emozioni che hai regalato con giocate e gol. Ci mancheranno i tuoi sorrisi, siamo qui insieme allo stadio pronti ad abbracciarti come siamo stati pronti ad esultare alle tue prodezze. Ciao capitano, fai buon viaggio. Ti vogliamo bene». E sono settanta secondi di applausi. Il silenzio perfetto da dedicare prima ancora che ad un giocatore - monumento, all'uomo.No, questa non è una partita - tributo. Questo è il tributo, composto dei tifosi. Con la curva che intona e ritma il nome del giocatore. Con lo striscione appeso alla recinzione dello Stadium e che non uno si sogna di andare a staccare: «Capitano vero, Vialli eroe bianconero». E nessuno si stupisce del parallelo con Scirea, che un altro striscione richiama pochi minuti dopo l'inizio della partita. Vialli e Scirea: pezzi di storia della Juventus. Tempi diversi. Addii che nessuno avrebbe mai voluto pronunciare. Storie che hanno per sempre segnato squadra e società. Nonché questo universo, prima muto adesso plaudente, che sono i tifosi. Cerchi qualcuno con le magliette di quei tempi. Un nostalgico. Un supporter che la custodisce dai tempi della Champions del '96. Trovi sprazzi di ricordi, brividi per l'uomo che era adesso, per la forza nell'accettare il destino. Se ne parla davanti al caffè nella pausa del match, mentre i giocatori sono negli spogliatoi. Il Chelsea. Genova imbandierata. «Pensavo fosse guarito». «Era già da Natale che si sapeva...».La parola morte, stasera, non la pronuncia nessuno. Il goal di Chiesa infiamma, e c'è chi trova il modo di vederci un segno del destino. O chissà un messaggio. Oppure una consolazione. C'era Chiesa, c'era Vialli, c'era l'Inghilterra agli Europei. E c'è tenerezza e nostalgia. Che diventa applauso, e fa ritmare altri cori mentre sugli schermi scorrono le immagini dei gol più belli di Gianluca Vialli in maglia bianconera. La rovesciata alla cremonese, le reti nei derby. E poi quella coppa sollevata dal capitano che già aveva tagliato i ricci che lo avevano reso icona prima ancora che sbarcasse a Torino. Si parla di calcio all'uscita. Si discute di Chiesa. Ma c'è sempre più lui, Vialli, nei discorsi. E lì capisci perché ci sono uomini che, nel calcio, diventano monumenti. Icone della forza. In campo, certo, ma quel più conta, nella vita. --© RIPRODUZIONE RISERVATA