Calderoli non esclude di stralciare scuola e scelte energetiche e sanitarie

lo scenarioSe l'inferno è lastricato di buone intenzioni, il percorso dell'autonomia differenziata pullula di ostacoli e tranelli. Il disegno di legge "natalizio" trasmesso al governo da Roberto Calderoli è destinato (nel cronoprogramma ministeriale, almeno) ad approdare in consiglio dei ministri entro gennaio e la circostanza infiamma lo scontro nei palazzi della politica.Lega esclusa, non vi è traccia di entusiasmo nella maggioranza: il solo Giovanni Toti, presidente della Liguria, plaude l'iniziativa, attribuendo le resistenze centraliste «alla paura di essere giudicati dai cittadini senza più scuse, pretesti e confusione di responsabilità che giustifichino la mancanza di visione e di coraggio».Nell'azionista di maggioranza, Fratelli d'Italia, l'inveterata tradizione statalista mal si concilia con la devolution e lo stesso premier Giorgia Meloni condiziona l'approdo federalista alla riforma presidenzialista della Repubblica, un obiettivo controverso e a dir poco complesso sul versante legislativo. La stessa Forza Italia, sensibile agli umori dell'elettorato meridionale, sollecita garanzie preventive a tutela del Mezzogiorno, dove l'allarme suscitato dalla "fuga dei ricchi che aggraverà il divario nel Paese" ha ispirato il manifesto del "no" inviato da oltre cento sindaci al Capo dello Stato e a cui il Veneto minaccia di contrapporre una uguale e opposta levata di scudi.Né in Parlamento il cammino si annuncia agevole. Rossoverdi e M5S (ormai a trazione integrale sudista) promettono battaglia; nell'Azione calendiana Mariastella Gelmini storce il naso; e lo stesso Pd - a suo tempo promotore della riforma costituzionale del titolo V che introduce "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia" - fa la voce grossa con il responsabile enti locali Francesco Boccia («I leghisti ostili al Sud gettano la maschera, la crociata di Calderoli azzera i progressi compiuti») mentre i candidati alla segreteria del partito gareggiano nel bersagliare il ddl. «Un disegno pericoloso che va fermato», tuona Elly Schlein; «Serve un'autonomia solidale, le Regioni rinuncino a istruzione e pretese sul gettito tributario, la destra non cali le scelte dall'alto», rincara Stefano Bonaccini che pure, in veste di presidente dell'Emilia Romagna e al pari di Lombardia e Veneto, aveva sollecitato a Roma maggiori poteri e competenze.E Calderoli? Procede a spron battuto, pungolato dai presidenti leghisti e dallo stesso Matteo Salvini, nella speranza di arginare il dissenso interno sventolando un traguardo-bandiera. Così il ministro conferma la road map - il 2023 sarà dedicato a definire nel dettaglio i Livelli essenziali di prestazioni (Lep) a garanzia dei diritti sociali e civile dei cittadini italiani ad ogni latitudine - ma non sembra esente da dubbi, tanto da confidare alla "Stampa" che nella discussione parlamentare "due o tre materie" delle 23 in ballo "potrebbero uscire dalla lista. Speriamo di no, ma non sarebbe una tragedia". L'allusione corre alle linee guida dell'istruzione (impensabile immaginare venti diversi sistemi scolastici), alla politica energetica e alla strategia sanitaria.Al riguardo, Luca Zaia alterna sorrisi e broncio. Manifestando «totale fiducia al ministro Calderoli capace, diversamente dai predecessori, di mantenere gli impegni assunti». Ribadendo, una volta ancora, il mantra adottato a partire dal referendum-plebiscito del 22 settembre 2017: «Chi va al ristorante non rinuncia in partenza a visionare la metà del menù: finora la trattativa non si è spinta a discutere materie e risorse, quando le carte saranno in tavola, valuteremo. Nessuno vuole sottratte nulla a nessuno ma c'è in gioco il rispetto della volontà popolare e in democrazia questo valore non è negoziabile». --Filippo Tosatto© RIPRODUZIONE RISERVATA