Veneto, futuro a tinte fosche La locomotiva d'Italia rallenta

Francesco JoriVENEZIA Cattive notizie dal fronte orientale. Veneto in testa, l'ex Nordest del boom e dei primati affronta un 2023 che si preannuncia in chiaroscuro, con i toni del grigio di gran lunga prevalenti: lo segnalano concordi le analisi di due autorevoli centri di ricerca del territorio, la Fondazione Nordest e il Muta-menti di Bcc Pordenonese e Monsile; il primo segnalando l'esistenza di orizzonti corti in termini di visione e progetti; il secondo mettendo in guardia contro l'imbocco di un rischiosissimo piano inclinato. Due derive che risultano ancor più evidenti se si fa il paragone con le aree competitive d'Europa: tra cui il Nordest italiano fino a qualche tempo fa rientrava a tutto tondo, e da cui rischia di venire pian piano espulso. I numeri non ammettono alibi: negli ultimi vent'anni tutte le regioni italiane sono cresciute a ritmi inferiori rispetto all'Europa, e il Veneto in modo particolare, perdendo in quest'arco di tempo ben 37 posizioni: se nel 2000, per Pil pro capite era superiore del 39% alla media Ue, oggi è appena a più 9, con 35mila euro a testa. Certo, è un fenomeno che come accennato riguarda l'intero territorio nazionale; ma all'interno di questo quadro, per fare un esempio significativo, le due regioni confinanti riescono a fare decisamente meno peggio: la Lombardia arretra di 20 posizioni, l'Emilia di 26. E che le performance di quest'ultima abbiano di gran lunga superato quelle venete, è fatto ormai largamente acquisito. Perché questa brusca frenata di quella che una volta era definita la locomotiva d'Italia, e oggi viaggia coi ritmi di un accelerato? Fondazione Nordest ne individua con chiarezza le cause, che appartengono ad aree critiche quali reddito, produttività e occupazione: costi di produzione troppo elevati, qualità del capitale umano insufficiente, visioni e progetti di corto respiro, scarsi investimenti nei due settori-chiave di istruzione e formazione. Ne esce un mix altamente inquinante anche in termini socio-politici, alimentando un clima di risentimento che sfocia nella riduttiva richiesta di politiche risarcitorie, anziché di incentivi allo sviluppo. Spazia dal passato a futuro l'analisi proposta da Daniele Marini nell'ultimo rapporto di Muta-menti: la situazione attuale è sicuramente frutto anche di opinabili scelte compiute nei decenni precedenti, quelli del grande "balzo in avanti", ispirate a una logica di corto respiro di "laissez faire"; ma oggi risente di un'impostazione che l'autore consegna alla felice immagine del condominio: dove l'amministratore si limita ad assecondare o contenere le istanze dei singoli condòmini (rissosi...), anziché proporre linee di sviluppo. Insomma, il Veneto odierno presenta forti limiti nella capacità di innovare; e gli scenari prossimi venturi non offrono grandi motivi di ottimismo, anzi. Lo si deve soprattutto a un trend demografico segnato da una forte sofferenza causa l'invecchiamento della popolazione e la frenata delle nascite: solo per mantenere costante l'attuale numero di lavoratori, nei prossimi vent'anni servirebbe un saldo migratorio di 50mila unità l'anno. Per di più, l'insediamento è del tutto irregolare, addensandosi nell'area centrale e lasciando sempre più spopolate quelle periferiche, le cosiddette Terre Alte della montagna. A questo, annota Marini, si accompagnano pesanti criticità strutturali del mercato del lavoro, lasciando scoperte intere filiere produttive, dall'agricoltura alle costruzioni al turismo, non riuscendo a colmare il gap tra domanda e offerta, e con scarsissima capacità di attrarre investimenti da fuori. Insomma, un Veneto che sembra limitarsi a galleggiare: il che consente di sopravvivere, ma al contempo vede crescere la distanza con i competitori internazionali. Come uscirne? Interessante, in un contesto di atavici campanili, la proposta appena lanciata da Maurizio Fugatti, presidente della Provincia autonoma di Trento: un percorso condiviso per una macroregione del Nord, che comprenda Nordest ed Emilia, ma auspicabilmente si allarghi alla Lombardia, lavorando su una serie di progetti di interesse comune, alcuni già in essere come quello dell'asse del Brennero. Partire dai capitoli dell'esistente, per farli confluire in un libro unico, mettendo insieme le risorse: logica del resto propria delle grandi macro-aree europee, dove il motto del "piccolo è bello" appartiene ormai a un passato remoto. A politici e imprenditori la risposta; sapendo che da essa dipende un futuro da protagonisti, o da periferie dello sviluppo. --© RIPRODUZIONE RISERVATA