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Eliminare la parola straniero per riconoscere a tutti il diritto di scendere in campo. Da vent'anni la Federazione Italiana di Cricket permette agli italiani di seconda generazione di rincorrere il proprio sogno tramite l'adozione di quello che ha preso il nome di "Ius Soli Sportivo". Era il 7 dicembre del lontano 2002, anni e anni prima del difficile ingresso dello Ius Soli nel discorso politico e nel dibattito pubblico, quando il Consiglio Federale della Federazione Cricket Italiana decise che era ora di cambiare, riconoscendo come italiani tutti i ragazzi nati in Italia anche da genitori immigrati.«Praticamente l'unico requisito che oggi serve avere è la carta d'identità italiana», spiega Alberto Miggiani, presidente del Venezia Cricket Club. La modifica è stata introdotta anche per far fronte alla diminuzione dei giocatori italiani, conseguenza diretta dell'invecchiamento della generazione dei nati negli anni Sessanta. Le glorie di un tempo, gli importatori dello sport in Italia. «Sul campo questo si traduceva in una presenza di cinquantenni, obbligati a giocare per ottemperare alla vigente regola dei sette cittadini italiani negli 11 in formazione», commenta Simone Gambino, romano che vive in Veneto, a Ponte di Piave, oggi presidente onorario della Federazione Italiana Cricket, dopo essere stato il primo presidente dal 1986 al 2016, per poi passare il testimone a Fabio Marabini.La Federazione è stata la prima ad ammettere gli sportivi di origini non italiane al proprio interno, lanciando così un importante messaggio di inclusione. «L'obiettivo è giocare di più e alzare il livello, più persone giocano e meglio è, le categorie non avevano creato un meccanismo virtuoso», continua Miggiani, spiegando che nelle sue squadre veneziane - sia nella categoria juniores (under 15 fino agli under 19) che in quella seniores - ha quasi esclusivamente atleti originari del Bangladesh. «Ci sono ragazzi con il passaporto italiano, nati qui da famiglie immigrate e altri nati in Bangladesh e che hanno il doppio passaporto o che non ce l'hanno, è un quadro variegato», spiega il presidente della squadra.Non è un caso che i più appassionati allo sport siano di origine orientale. Il cricket, infatti, è stato esportato dall'Inghilterra in India, diventando rapidamente una delle pratiche sportive a cui il Commonwealth ha sempre prestato attenzione e incentivato. In Italia, spesso passa inosservato «anche perché è difficile appassionarsi a uno sport che non si vede in tv, commenta Miggiani.La spinta all'introduzione dello Ius Soli Sportivo, vent'anni fa, l'ha data anche Maurizio Menetti, dirigente del Bologna Cricket Club, che vedeva le regole esistenti come una gabbia che bloccava lo sviluppo del gioco. Da una parte gli attempati ex giocatori con i primi capelli bianchi costretti a scendere in campo, e dall'altra i tanti ragazzini italo-asiatici con il desiderio di giocare negli occhi ma esclusi dalle partite.Questo sport "anglosassone" qualche momento d'oro l'ha vissuto anche nel Veneziano. Nell'aprile 2021 a Campalto si sono tenute le European Cricket Series, le gare che coinvolgono le cinque migliori squadre del Triveneto di questo sport (Venezia, Padova, Royal Padova, Lonigo e Trentino). Un momento importante per far conoscere una pratica sportiva a cui viene prestata ancora poca attenzione nel nostro Paese. L'esempio della Federazione rende bene l'idea di come lo sport possa essere propulsore di buone pratiche e valori e di come i campi possano essere dei territori di democrazia, in cui gli unici confini presenti sono quelli delle aree di gioco e le nazionalità solo delle bandiere colorate in uno stadio che riunisce degli appassionati.«Se è vero che la pratica sportiva abitua alla competizione, al gareggiare, è anche vero che in primo luogo educa all'inclusione e abitua alla diversità. Soprattutto a livello agonistico, un colore della pelle diverso dal proprio o una lingua sconosciuta non sono più delle barriere perché gli atleti sono accomunati dalla stessa passione e dedizione per la disciplina. Quello che ci dice la Federazione è che tutti gli sportivi sono uguali e, quindi, dovrebbero avere tutti il diritto di poter giocare, vincere o perdere».Un ventennio dopo, lo Ius Soli Sportivo è una conquista ormai rodata e un vanto di cui andare fieri, a maggior ragione dopo gli anni di fuoco della politica italiana, dove il tema del diritto alla cittadinanza è stato scottante e divisivo. E non ancora risolto. --© RIPRODUZIONE RISERVATA