Addio alla Simonetta dei "Piccoli maestri"

Sergio Frigo / VICENZANel silenzio e nell'oblio se n'è andata a 99 anni anche la Simonetta, al secolo Antonia Tiozzo, ultima superstite dei "Piccoli maestri" di Luigi Meneghello, quella che lo scrittore maladense - innamorato del personaggio letterario e forse anche della persona - descriveva come "la partigiana più graziosa del secolo, certamente la più elegante". È accaduto oltre un mese fa, il 12 ottobre, ma la notizia si è saputa solo ieri, grazie a una lettera inviata da un anonimo al Giornale di Vicenza, assieme alla copia dell'articolo in cui il 25 aprile del 2019 su queste pagine avevamo raccontato la sua storia. Nessuno lo aveva saputo, nel giro degli amici di Meneghello, e neppure negli ambienti economici vicentini, che pure Antonia Tiozzo aveva frequentato con successo nella sua "seconda vita". La prima, quella contenuta nel capolavoro di Meneghello, era rimasta confinata nelle pagine e nella memoria, che si faceva sempre più incerta. Ma non per i lettori, stregati per sempre dalla ragazza dagli occhi variopinti, sbarazzina e determinata, che si accompagnava all'io narrante e ai suoi compagni nella lotta partigiana: è lei infatti ad aprire e a chiudere il romanzo di Meneghello, nelle prime pagine impegnata sull'Altopiano dopo la fine della guerra a cercare assieme all'io narrante il mitra da lui perduto l'anno prima in un rastrellamento; e nelle ultime ad accogliere le avanguardie degli alleati che entravano a Padova, salendo su un carro armato e cantando. Il fatto è che nel racconto che Antonia Tiozzo ci aveva fatto tre anni fa questi eventi, e un po'tutta la vicenda resistenziale dei giovani intellettuali-partigiani, erano decisamente depurati dall'aura romantica di cui li aveva dipinti Meneghello: niente implicazioni sentimentali (almeno da parte di lei), nessuna spedizione sull'Altopiano e neppure l'incontro coi liberatori di Padova. Quello che emergeva dal suo racconto era, piuttosto che un percorso di formazione politica, un passaggio generazionale, che per un breve periodo l'aveva vista accompagnarsi a un gruppo di coetanei, molto più belli e interessanti dei giovani fascisti, e prendere parte con lo spirito da sportiva che la caratterizzava alle loro avventure resistenziali. Poi, finita la guerra, le loro strade si erano divise, e la suasi era rivolta verso l'attività imprenditoriale, assieme al marito - Giovanni Stefani - con cui aveva fondato un'azienda meccanica E con il quale aveva avuto un figlio, morto in un incidente.In seguito si era data alla finanza, entrando con un ruolo di rilievo nella Palladio leasing. E anche la bici, con cui aveva svolto alcune delicate missioni da staffetta (queste, almeno, confermate), era stata presto sostituita da mezzi più confacenti al suo nuovo status: «Ho avuto sette Porsche, una Jaguar e una Ferrari», raccontava con civetteria. Senza dimenticare, peraltro, i libri e gli amati bonsai che coltivava nella sua villa di Creazzo. --© RIPRODUZIONE RISERVATA