L'ultimo autentico highlander della grande industria pubblica

Il ritrattoPiercarlo FiumanòScompare l'ultimo grande highlander dell'industria pubblica. Giuseppe Bono è morto a 78 anni pochi mesi dopo avere lasciato Fincantieri di cui è stato il timoniere per 20 anni. La sua scomparsa chiude il sipario su un capitolo di storia della navalmeccanica italiana. Dopo avere ceduto la guida di Fincantieri a Pierroberto Folgiero il 16 maggio scorso, non si considerava certo in pensione dopo 60 anni di lavoro e negli ultimi tempi diceva di avere in mente altri progetti per mettere la sua competenza «al servizio del Paese».Calabrese di Pizzoni, classe 1944, due figli, giovinezza in fabbrica nella Torino operaia fino alla laurea in economia e commercio e un'altra recente honoris causa in ingegneria navale. Cavaliere del Lavoro e Cavaliere della Legion d'Onore francese, è diventato l'uomo che ha costruito le grandi navi da crociera, ma anche ponti, dighe e stadi. La carriera di Bono inizia nella vecchia Iri (esordi all'Efim) e poi in Finmeccanica di cui dal 1997 al 2000 è stato direttore generale e ad per due anni prima di prendere il timone di Fincantieri nel 2002, con la missione di traghettare il gruppo triestino verso la privatizzazione con l'Iri in liquidazione. Da quel momento la fusione fra Bono e l'impresa triestina sarà totale come è avvenuto solo per pochi manager in Italia: «Oggi ci sono generazioni di lavoratori che sono stati fieri di lavorare con me e in questo gruppo», diceva.Bono, che si racconta da piccolo volesse farsi prete ma forse è la leggenda che deriva dalla sua apparente bonarietà, ha attraversato una decina di governi nella sua carriera: «Con la politica bisogna dialogare sempre nell'interesse dell'azienda», il suo mantra che non lo salverà però dai veti incrociati in Europa nella vicenda Stx. Sin dal giorno in cui il governo Berlusconi lo scelse al vertice del colosso triestino e negli anni successivi assolverà il suo ruolo con il piglio di chi sa difendere la propria autonomia. Un vantaggio che gli derivava dall'essere un uomo d'industria ma capace sempre di cogliere gli umori del Paese, anche leggendo di storia e filosofia o coltivando le sue amate rose nel suo buen ritiro abruzzese di Tagliacozzo. Il gruppo con lui al comando ha resistito alla grande crisi degli anni Duemila grazie alla capacità di reinventarsi industrialmente e stringendo alleanza con gruppi storici delle crociere come la Carnival di Mickey Arison (al tempo della presidenza di Corrado Antonini, per anni suo "gemello" e ambasciatore nel mondo del gruppo). Il top manager ricordava spesso che nel 2002, anno del suo insediamento, un anno dopo l'attacco alle Twin Towers, i mercati mondiale erano in ginocchio. Bono ha governato il rilancio a metà anni Duemila quando la crisi europea della cantieristica aveva già bruciato 50 mila posti in tre anni. Di fronte a una concorrenza sempre più agguerrita (i coreani), ha saputo reagire con un piano di ristrutturazione che ha rimodellato assetto industriale e carico di lavoro nei cantieri. Nel 2004 il gruppo annuncia una mega-commessa con gli americani da 6 miliardi che assicura ai cantieri navali del gruppo triestino, da Monfalcone a Sestri a Marghera, un carico di lavoro continuo fino a tutto il 2008. È il più grosso contratto mai siglato nel settore della cantieristica. Il suo grande intuito industriale lo porterà a rafforzare la leadership nei settori del core business (navi da crociera, traghetti, militare) e lo sviluppo in altri settori (mega yacht, sistemi e componenti navali, riparazioni e trasformazioni navali). È il primo passo di una diversificazione produttiva e industriale che arriverà fino a oggi con la grande rimonta nel settore militare. E sarà lui, l'ultimo grande manager di Stato e samurai dell'industria pubblica riconfermato per sei volte al vertice di Fincantieri, a portare la società in Borsa nel 2014. Il più longevo manager pubblico si descriveva come «un umanista che legge di storia e filosofia» ma soprattutto un servitore dello Stato. E negli ultimi tempi diceva di avere in mente altri progetti per mettere la sua competenza «al servizio del Paese». Diceva di non offendersi se lo chiamavano boiardo di Stato: «I boiardi erano i vecchi servitori dello Zar. Io mi considero un civil servant. Servire lo Stato è il mio mestiere e penso di averlo fatto bene e con onestà». La carriera di Bono era iniziata nella vecchia Iri e poi in Finmeccanica. Un arco di tempo in cui il colosso pubblico è diventato fra i primi gruppi al mondo, leader nella costruzione delle navi da crociera ma anche negli ultimi anni protagonista nella costruzione delle grandi opere come la ricostruzione del ponte Morandi. Il suo sogno era quello di creare un campione della cantieristica europea che finirà però osteggiato dal nuovo protezionismo nascente in Europa e dalle chiusure tedesche e francesi. Negli ultimi tempi sembrava amareggiato e diceva di rimpiangere «la mia gente in Fincantieri» e considerava il suo successo più importante «mantenere la sede del gruppo a Trieste» perché «in Italia, al contrario della Francia, non difendiamo abbastanza la nostra industria».Bono è stato anche membro del Consiglio generale di Confindustria. Da presidente della Confindustria del Friuli Venezia Giulia progettava una Confindustria del Nordest. --© RIPRODUZIONE RISERVATA