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Sergio FrigoSe c'è una cosa peggiore della fine del mondo - tema che dopo aver ispirato tanto cinema comincia a insinuarsi nell'attualità, a causa degli scompensi climatici e dell'aggravarsi del conflitto russo-ucraino - è la morte di un figlio. Nella catastrofe universale - almeno come ce la immaginiamo - ci sono due elementi che inopinatamente sembrerebbero rendercela in qualche misura meno dolorosa: la condivisione di un destino collettivo, a cui nessuno può sfuggire, e la consapevolezza che col repentino venir meno della nostra vita anche la sofferenza se ne andrà. TERRIBILE E BELLISSIMALa morte di un figlio è invece qualcosa che strazia nel profondo il cuore dei familiari con crudele ingiustizia e li condanna a un infinito ergastolo di dolore, troncando in essi l'attesa della continuazione della vita che i figli rappresentano. Può questo tormento essere in qualche modo condiviso, almeno fra chi lo sperimenta, e così lasciarsi almeno in parte lenire? Non possiamo saperlo, ma questo è quanto ha cercato di fare il poeta di Revine Lago Luciano Cecchinel nella terribile e bellissima (anche nella veste tipografica) "Antologia di poesie e prose" dal titolo essenziale e poetico: "Per i giovani figli perduti" (Ed. Ronzani, pp 308, 18 esuro).Difficile sarebbe stato trovare un curatore più adeguato di Cecchinel per questa operazione: colpito in prima persona, nel 2001, dalla scomparsa della figlia Silvia, ha perlustrato a fondo tutte le strade del dolore, impedito per lungo tempo da questo lutto di "ritentare la via della poesia" ma non di cercare negli scritti altrui riflessioni, spunti, ragioni per ciò che ragione non ha. UNITI DA UNA MUTA SOLIDARIETàIl libro raccoglie dunque, in ordine cronologico, un brano dal Libro della Sapienza, alcuni epigrammi dalla raccolta greco-bizantina Antologia Palatina, e poi prose, poesie, lettere e riflessioni di una trentina di autori, uniti da analogo lutto e dunque da "una solidarietà profonda e quasi muta". Citiamo solo alcuni dei più famosi: Marco Tullio Cicerone, Plutarco, François De Malherne, Victor Hugo, Walt Whitman, Fëdor Dostoevskij, Giosuè Carducci, Stèphan Mallarmé, Rabindranath Tagore, Angiolo Silvio Novaro, Giuseppe Ungaretti, Biagio Marin, Emmanuel Mounier, Alfonso Gatto, David Grossman. Ci sono anche alcuni autori solo sfiorati da questa perdita: Servio Sulpicio, ad esempio, che scrive all'amico Cicerone dopo la morte della figlia Tullia rimproverandolo aridamente perché soffre più per la perdita "di una piccola donna" che per la fine della Repubblica; oppure Pier Paolo Pasolini, che si confronta con la scomparsa del fratello minore Guido; o ancora Andrea Zanzotto, amico e maestro del curatore, che dedica una poesia alla figlia di lui, Silvia, "Gentile e forte creatura della Vallata", che in un attimo fu "una scia/ che sparpagliava diamanti, una via / che si apriva allungava allungava senza perdersi..." Nell'introduzione Cecchinel analizza le diverse sfaccettature del dolore per una condizione tanto innaturale da non avere, a differenza da chi perde un coniuge o un genitore, nemmeno un nome sul vocabolario, e che lui descrive così: "L'universo si sgretola, l'esistenza implode ed è risucchiata in un vortice confuso di impotente ribellione e insopportabile pena, che finisce per delineare la livida prospettiva di non poter reggere di fronte al presente e al futuro". Anche Mark Twain, in seguito alla perdita di una figlia, definiva un mistero come "un uomo possa ricevere un colpo come questo e sopravvivere". Una condizione che il giornalista Luigi Pintor, che di questi lutti ne subì due, definisce "un grande delitto", fonte di vergogna e ribellione perché "si fanno odiosi i gesti quotidiani, diventa abusivo respirare e camminare". QUELLO CHE RIMANELe strategie di sopravvivenza, analizzando i diversi contributi all'antologia, sono tutte sostanzialmente inadeguate: confidare nel tempo che passa e lenisce il dolore (come suggerisce Sulpicio a Cicerone) appare inaccettabile, perché - come avverte Plutarco, che di figli ne perse tre - presuppone che si possa/debba dimenticare chi se n'è andato; poco consolatorio è pensare anche (come Corrado Govoni o Stèphan Mallarmé) che chi muore bambino non sarà ghermito dalla vecchiaia, né dalla paura della morte che sotterraneamente ci investe tutti; semmai l'unico lascito positivo di questi lutti è rimuovere dalla psiche dei genitori sopravvissuti proprio questa paura, perché da quel momento in poi la propria fine verrà percepita da molti come l'opportunità di riabbracciare il figlio scomparso; e se il dolore per la perdita si rivela, in questa antologia, comune a tutte le epoche storiche, anche la speranza che il figlio perduto possa continuare a vivere in una dimensione ultraterrena vale pure per i pagani, come mostra Plutarco in "Consolazione ad Apollonio". Anche se naturalmente essa si manifesta soprattutto negli autori più attenti alla religiosità, come Victor Hugo, che dopo la morte della figlia (uno dei suoi molti lutti) approda a una "medicata accettazione della volontà imperscrutabile" di Dio: "io dico che la tomba che si chiude sui morti/ apre il firmamento; / e che qui sulla terra ciò che noi prendiamo per termine / è l'inizio". L'AMORE COME RISCATTOMa a cercare con pazienza fra queste pagine qualcosa si salva dal male: la considerazione - ancora dovuta a Plutarco - che nessun genitore, per quanto prostrato, arriva a pensare che sarebbe stato meglio che il figlio sottratto non fosse venuto al mondo, e che dunque la sua breve vita sia stata inutile. Anzi, su questa linea di pensiero ci sono in chiusura le pagine emozionanti della 49enne scrittrice francese Anne-Dauphine Julliand che racconta come anche il dolore più atroce, assaporato, compreso, accettato e condiviso possa essere fonte di senso, e persino di gioia, se riscattato dall'Amore. Lei è accanto al lettino della figlia Thaìs, tre anni, la prima delle due che le moriranno per una malattia rara; è la notte dell'addio, lei tiene la manina stretta nella sua, gli occhi negli occhi: "I nostri cuori - scrive nel suo best-seller "Due piccoli passi sulla sabbia bagnata" - le nostre menti e le nostre anime in comunione, finalmente capisco. Finalmente. Mi fa l'effetto di una bomba accecante. Senza un movimento né una parola Thaìs mi trasmette un segreto, il più bello, il più desiderato: l'Amore (...) Stasera trovo il coraggio di dirlo: la vita di Thaìs è un tesoro. Un concentrato d'amore che lei infonde generosamente in chi le sta accanto". --© RIPRODUZIONE RISERVATA