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Un amore viscerale per la musica e l'inclinazione alla scienza e alla medicina: è l'alchimia del mondo multidimensionale di Mirko Schipilliti, dirigente medico nel Pronto soccorso dell'ospedale Sant'Antonio di Padova, pianista e direttore d'orchestra. Mestrino, medico di professione, musicista e direttore idem. Nel senso che lui, 48 anni, nato a Lubjiana da mamma slovena e babbo calabrese, non suona e non dirige per hobby, da dilettante. Tanto per dire: l'ultimo concerto che ha diretto è stato quello con l'orchestra dell'Arena di Verona, lo scorso ottobre. Due passioni e due amori, per la medicina e per la musica, che dagli anni del liceo sono la cifra del suo vivere. Mentre studia allo scientifico di Mestre si iscrive al conservatorio, mentre segue la specializzazione in Medicina interna segue i corsi di direzione d'orchestra in giro per l'Italia e all'estero. Tanto studio per arrivare al diploma in pianoforte e alla laurea in direzione d'orchestra con massimo dei voti e lode (la tesi "Zanetto. Mascagni tra verismo e stile liberty" viene pubblicata come saggio) e laurea e specializzazione in medicina. Un percorso puntellato di diverse altre esperienze: dalla critica musicale alla composizione, alla ricostruzione e orchestrazione di musiche di film. Un'attività concertistica che lo porta in giro per l'Italia e l'Europa, a lavorare con La Fenice, a dirigere, unico italiano l'Orchestra Sinfonica di Heliopolis a San Paolo in Brasile formata dai giovani provenienti dalla seconda più grande favela del Paese, sempre in parallelo con quella medica, iniziata nel 2011 all'ospedale di Chioggia, poi a Padova. Due lavori che da soli richiedono impegno, dedizione e studio continui, e ugualmente condotti insieme. Dottor Schipilliti, che origine ha il suo amore per la medicina e per la musica?«Quello della musica credo sia un mix genetico: papà suonava da autodidatta e da ragazzo aveva un gruppo con cui incise un 45 giri, e un suo cugino insegnava al conservatorio di Reggio Calabria. Il nonno materno studiava violino. Quando ero piccolo ero molto vivace e mi regalavano sempre strumenti musicali per tenermi buono. Per la medicina è diverso, non so bene cosa mi abbia avvicinato, forse il fatto che a due anni e mezzo sono stato ricoverato e a lungo in cura in Pediatria a Padova per un'aplasia, da cui sono guarito. Forse è stato quel periodo a condizionarmi. Comunque ho sempre avuto interesse per la scienza». Come ha portato avanti gli studi dell'una e dell'altra materia?«Ho iniziato a studiare musica come privatista e in un secondo momento mi sono iscritto al conservatorio. Al primo anno di Medicina mi sono diplomato in pianoforte e allora decisi che non avrei seguito la carriera da pianista anche perché in Italia non esiste un vero percorso di carriera artistica musicale. Nel frattempo avevo sviluppato l'interesse per la direzione d'orchestra ma nel Conservatorio di Mestre non c'era la cattedra, quindi ho cercato dei corsi. Il primo l'ho seguito a Milano. Mentre continuavo la specializzazione in Medicina ho iniziato ascrivere come critico musicale anche per il "mattino di Padova". Negli anni ho seguito diversi altri corsi di direzione con Giancarlo Andretta, Isaac Karabtchevsky e molti altri». Non c'è mai stato un momento in cui ha dovuto scegliere tra fare il medico e il musicista? «Quando non avevo ancora preso il diploma di direttore d'orchestra fui selezionato fra i primi 25 su 500 partecipanti a un concorso internazionale a Francoforte e poco dopo fui convocato per la selezione con la London Symphony Orchestra: mi hanno chiamato per Londra, ma io - che pur mi ero messo a studiare come un matto sperando nella convocazione - non avevo comprato il biglietto aereo per Londra e non potei andare. Non so se il destino o il mio inconscio volessero indirizzarmi da qualche parte, io però non ho mai voluto scegliere fra medicina e musica».Cosa rappresenta per lei la musica?«È parte della mia vita, non posso pensare a me stesso senza. Ho sempre coltivato l'amore per la musica nel modo più professionale possibile. Per questo se faccio concerti li faccio con professionisti, ma non per presunzione. Non voglio dire che chi fa musica da dilettante sia scadente, è un po' un problema che abbiamo qui in Italia di vedere le persone a una sola dimensione. Se fai questo non puoi fare quello, se sei questo non puoi essere quello. Invece la vita è multidimensionale». Suggestiva come visione, ma come riesce a coniugare tempo e energie?«Dirigere l'orchestra mi insegna a fare meglio il medico e viceversa. Quando dirigo devo guidare una squadra, devo cogliere eventuali problemi e risolverli senza che la musica si fermi. Nella medicina d'urgenza è la stessa cosa: guardi il paziente, individui il problema, agisci. In entrambi i casi serve concentrazione, fermezza, autocontrollo, lo sguardo è alla soluzione del problema. Così anche nella peggiore delle situazioni, in Pronto soccorso o sul palco, l'impressione che devi dare è che tutto vada bene». C'è un valore aggiunto che la musica dà alla medicina?«La musica aiuta a recuperare la dimensione umana in una professione, quella del medico, che spesso viene spersonalizzata, anche se non in termini di insensibilità, ma di distacco professionale. La musica è un mondo completo, fatto di note ma anche della storia del periodo in cui è stata composta, dell'ambiente, delle passioni dell'uomo. Da sempre è strumento di unione e condivisione, insegna ad ascoltare e ascoltarsi».Gli ultimi concerti che ha diretto sono stati per la Giornata del medico con l'Ordine professionale di Padova e quello di Verona. Che esperienza è stata?«Due occasioni in cui ho potuto dare vita a quello che ritengo il senso della medicina e della musica insieme: condivisione di valori e di cultura, come "tecnici" ma anche come esseri umani». --© RIPRODUZIONE RISERVATA