Meloni: «Nessuno mi impone i nomi» Salvini verso la guida delle Infrastrutture
Francesco Olivo /ROMAI nomi non li dice nemmeno ai suoi fedelissimi, ce li ha in una lista ben custodita. Ma una cosa Giorgia Meloni la rivendica: non si farà dettare i ministri da nessuno. Nemmeno quindi da Matteo Salvini che il giorno prima le aveva presentato, attraverso un comunicato stampa, una lista di ministeri per la Lega. La leader di Fratelli d'Italia riunisce i suoi ed evita di entrare in troppi dettagli sulla squadra di governo. Niente nomi, quindi ma un metodo sì: «Un governo di alto profilo», spiega ai trenta dirigenti che fanno parte dell'esecutivo del partito, il che vuol dire che se dovesse servire inserire dei tecnici nessuno si deve scandalizzare, un messaggio chiaro a Forza Italia e Lega che restano in allarme per il numero considerato eccessivo di figure "extraparlamentari" per il futuro esecutivo. Il governo, è il ragionamento, sarà comunque politico, perché a guidarlo sarà lei che politica l'ha fatta sin da ragazzina e che «gli italiani hanno scelto per governare». Questa non deve essere l'occasione «per risolvere beghe interne di partito o proponendo qualsiasi nome o per rendite di posizione», è il messaggio agli alleati. La Lega risponde: «Noi abbiamo donne e uomini pronti per il governo, ma la prima proposta spetta a Giorgia». Le caselle più delicate restano due: l'Economia e il Viminale. Per Via XX settembre il no di Fabio Panetta è sempre più vicino a essere definitivo. Il membro del comitato esecutivo della Bce lo avrebbe detto in un colloquio privato in occasione della riunione dei ministri delle finanze dell'area dell'euro tenutasi in Lussemburgo martedì, così come ha raccontato l'agenzia Bloomberg, notizia che nessuno ha smentito ieri. Panetta, non è un mistero, punta a guidare la Banca d'Italia dall'anno prossimo, ma non si tratta solo di questo. L'altro ostacolo per Meloni è la difficoltà trovare un sostituto (italiano) nel board della Banca centrale europeo, un ruolo strategico per il Paese, specie in un momento così delicato. A meno di un clamoroso ripensamento, bisogna lavorare quindi sulle alternative: il nome di Domenica Siniscalco, ex ministro, è in calo, mentre prendono quota altri due (ovviamente tecnici): Luigi Buttiglione, già dirigente di Bankitalia e Bce, che oggi gestisce un fondo d'investimento, e soprattutto Dario Scannapieco, amministratore delegato di Cassa depositi e prestiti. L'altro nodo decisivo riguarda il Viminale, la Lega non molla, «Salvini è il nome adatto» fanno sapere fonti di via Bellerio in serata, precisando che «comunque avrà un ruolo rilevante». Ma già da giorni il segretario sta lavorando a un piano alternativo. In cambio della rinuncia Salvini potrebbe diventare vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, una destinazione che consentirebbe a Salvini di rafforzare la sua immagine di concretezza e, grazie alla competenza sui porti e sulla guardia costiera, di proseguire la sua ricerca di consensi sul tema dell'immigrazione. In questo quadro, al ministero dell'Interno andrebbe un tecnico, il favorito resto il prefetto di Roma Matteo Piantedosi. Agli Esteri in corsa Antonio Tajani, Elisabetta Belloni e Giampiero Massolo. Mentre il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, pur avendo ricevuto un'offerta di lavoro in Giappone, potrebbe restare come commissario all'Energia. Per la Difesa, in pole position c'è Adolfo Urso, presidente del Copasir, che potrebbe scambiarsi di ruolo con Lorenzo Guerini. --© RIPRODUZIONE RISERVATA