Salvini dimentica i cinque milioni di voti persi

L'inevitabile processo agli sconfitti è cominciato la sera stessa di domenica 25 settembre, giorno primo dell'Era Meloni. Nel Pd Letta ha anticipato i tempi, escluso una sua ricandidatura e avviato un congresso vero, pena lo scioglimento del partito (peraltro auspicato da Rosi Bindi); Salvini invece fa finta di niente, dimentica di aver perso cinque milioni di voti in cinque anni e chiede ministeri, critica scelte, contesta tutto come se fosse all'opposizione, non nella maggioranza che ha vinto le elezioni.Nella Lega lo sconcerto cresce. La questione più calda sembra "Viminale sì o no", ma in apparenza. L'altro ieri, convocati a Roma dal Capitano, i 95 parlamentari leghisti neoeletti, entrati in sala dopo opportuno sequestro dei cellulari (non si sa mai in tempi di social...), hanno inneggiato a una riconquista del ministero dell'Interno: del resto l'exploit della Lega - passata dal 17 per cento del 2018 al 34 delle Europee 2019 - ha coinciso con la tonitruante stagione di Salvini al Viminale. Ma difficilmente succederà: c'è una guerra in corso nel cuore del Vecchio Continente e nessuno può pensare - in Europa, negli Usa, in Italia - di affidare un ministero "sensibile" a chi non ha mai nascosto le sue simpatie per Putin. Chi è causa del suo mal.Minacciare poi di non entrare nel governo dinanzi a un niet della Meloni e approvare via via solo i provvedimenti che piacciono ha un che di masochistico che piace poco a quel concreto popolo leghista che cerca stabilità, un governo efficiente ed efficaci misure di sostegno. Non ha convinto nemmeno la decisione di Salvini di invocare per il caro energia una soluzione alla tedesca - più soldi dal nostro bilancio - invece di una europea auspicata da Meloni (e da Draghi): mettersi contro la futura premier non rischia di portare altra acqua al mulino di chi ti ha portato via i voti?Nella Lega cova insomma un'insoddisfazione più generale. Chi lavora nel nord produttivo del paese e fa business con l'Europa non condivide affatto la linea Salvini. Se n'è fatto interprete Maroni candidando alla leadership Luca Zaia, che però dice di preferire il Veneto a via Bellerio. E non è l'unico fronte: in Lombardia Letizia Moratti, berlusconiana doc, ha annunciato la sua candidatura alla presidenza della Regione guidata da Attilio Fontana, un leghista.C'è tensione. E una Lega divisa in due: da una parte i governatori Zaia e Fedriga, sotto l'ala di Giorgetti; dall'altra i salviniani duri e puri che invece attribuiscono la sconfitta proprio alla scelta dei governisti di appoggiare il gabinetto Draghi. La spaccatura potrebbe sfociare in una svolta clamorosa. A chi pensa di far fuori Matteo non basterebbe infatti una tornata di congressi. Dal 2019 la Lega nord è diventata Lega per Salvini premier, insomma non è scalabile né contendibile. Per diventarlo dovrebbe sciogliersi, o scindersi, o modificare la sua forma giuridica, la sua missione politica. E magari, come vorrebbe qualcuno, federarsi con Forza Italia. Per la destra sarebbe una rivoluzione. Proprio mentre riconquista il governo. --© RIPRODUZIONE RISERVATA