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Alessandro Ragazzo /MARCONTanti stranieri, tante scuole di pensiero, diverse culture calcistiche e non. I 31 giocatori convocati dal tecnico del Venezia Ivan Javorcic a inizio stagione, rappresentano ben 17 nazioni, che diventano 18 se si aggiunge anche il tecnico croato. Ma come si conciliano le diverse esperienze? Cosa significa lavorare con un gruppo nutrito di stranieri? Un'azienda di Marcon, la San Marco Group leader nel settore delle vernici e pitture, da tempo porta avanti un processo d'integrazione e la responsabile delle Risorse umane, Mariluce Geremia, ci spiega com'è strutturato il lavoro.Lei non si occupa direttamente di una squadra di calcio. Come vede una rosa ricca di stranieri?«L'importante è che prevalga la meritocrazia. Se lo straniero si merita quel ruolo, è giusto che giochi. Perché premiare un italiano se non ha la stessa grinta e non ci mette lo stesso impegno in campo rispetto a un altro? Come in tutte le situazioni, conta chi è più bravo e, come per il calcio, serve guadagnarsi in posto pure in un'azienda. E questo a prescindere da dove si è nati e dalla lingua».Da tempo San Marco Group ha esperienza nel settore. Come organizzate il lavoro?«Intanto da noi gli stranieri non sono considerati tali. Sono persone che hanno solo un dato anagrafico di nascita o residenza, ma non c'è un tema specifico. Non abbiamo piani particolari per loro. Sono considerati parte della famiglia San Marco Group: è la prima forma d'integrazione».Quanti stranieri ci sono nella vostra azienda?«L'8 per cento - non certo la percentuale degli stranieri nella rosa del Venezia - del personale in Italia (Marcon, Latisana, Forlì e Montemarciano, in provincia di Ancona, ndr) ovvero una ventina su 250. Il gruppo è impiegato in diverse mansioni; molti di loro sono all'ufficio commerciale, dove siamo andate a cercare delle figure che avessero delle particolari conoscenze linguistiche che a noi mancavano. Poi ce ne sono pure in fabbrica, in produzione, dove diversi arrivano dall'Est Europa e Africa, soprattutto Senegal. Qualcuno è con noi anche da 15 anni; uno di loro, ad esempio, è diventato pure un tutor, perché forma i nuovi ingressi in fabbrica. E per nuovi ingressi intendiamo ragazzi italiani sui 20 anni. Si è guadagnato i gradi con il lavoro quotidiano».Avete mai avuto delle difficoltà? Come si conciliano le diverse culture presenti?«Sono presenti tante religioni: ci sono i momenti di Ramadan, quelli dove vanno nello spogliatoio a pregare ma non è mai stato un problema per noi e loro non ci hanno mai fatto delle richieste particolari».Come vi comportate in mensa aziendale?«Ci sono delle diete particolari, con delle offerte che possano accontentate tutti. Ad esempio, dobbiamo considerare pure chi non mangia la carne ma non solo per motivi religiosi: c'è anche chi è vegetariano, oppure qualcuno è celiaco. Sono aspetti da tener conto».Qualcuno ha mai portato all'estero la formazione in San Marco Group?«Certo. Gli stranieri impiegati in fabbrica seguivano un percorso di formazione e avevano dalla loro la madrelingua. In certi casi, dopo un certo periodo, diciamo cinque o sei anni il tempo utile per imparare il mestiere e applicare i nostri prodotti, abbiamo dato la possibilità di rientrare nel loro paese d'origine e sono diventati nostri agenti o distributori».Potrebbe fare un esempio?«Ricordo delle famiglie che lavorano per noi dalla Romania. Ma succede, pure, per la Slovacchia, in Repubblica Ceca, Polonia. Dunque, prima li abbiamo formati qui, per poi proseguire la carriera professionale nel loro paese. E lo consideriamo un ottimo modello».Quando avete iniziato questo percorso?«Diciamo dagli anni Novanta. Mio padre Federico aveva il progetto di avere in azienda delle persone da formare e dare loro l'occasione di sviluppare nei mercati esteri».Dunque c'è un circolo virtuoso dove ciascuno può dare il meglio delle sue potenzialià.«Esatto. Se qualcuno ci chiede di raggruppare le ferie per tornare a casa e starci un mese durante le feste di Natale, non ci sono problemi. Basta saperlo con un po' di anticipo, in modo da poterci organizzare e concedere loro questa possibilità».E, mi permetta, diventa un arricchimento per tutti. Nessuno porta via il lavoro ad altri...«No, anzi. Le faccio un altro esempio; proprio nei giorni scorsi, abbiamo assunto un manutentore elettrico, un 30enne albanese che ha studiato alla scuola di elettricista a Treviso. Facciamo fatica a trovare queste figure professionali e dobbiamo affidarci a degli stranieri, perché hanno ancora la cultura di fare mestieri di questo tipo. E fra gli italiani non riusciamo più a trovarne». --© RIPRODUZIONE RISERVATA