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il casoSimonetta ZanettiMentre in Fiera a Padova 3.119 ragazzi si davano battaglia armati di bottiglietta d'acqua, penna e speranza per conquistare uno dei 428 posti a disposizione per entrare a Medicina (340 in città e 88 a Treviso), determinati a far parte del gruppo di quegli «uno su poco meno di dieci» che passano per la cruna dell'ago a Padova, si incendiava il dibattito sul già contestato numero chiuso per l'accesso alla formazione medica.Una discussione che rivela posizioni distanti, omogenee nella polarizzazione tra politici e "tecnici", con visioni evidentemente rese uniformi dall'osservare lo stesso orizzonte da posizioni diverse. E apparentemente inconciliabili. Espressione di queste differenze le parole della rettrice Daniela Mapelli e del presidente del Veneto Luca Zaia.La lettura di Università e i mediciLa rettrice, ieri in Fiera per il primo saluto agli aspiranti medici - «a loro va il mio "in bocca al lupo", anche se in questo momento potrei dir loro qualunque cosa, ma sono troppo emozionati e non mi ascolterebbero» sorride -, non ha dubbi sulla necessità di tenere la barra dritta sul fronte della formazione, facendosi guidare dalla «programmazione» e schivando le letture «demagogiche» per risolvere il problema della carenza di dottori. «Dire di voler togliere il numero chiuso a Medicina tout court è demagogia e populismo: se tutti i ragazzi che sono in Fiera dovessero entrare a Medicina non avremmo aule, docenti, laboratori o posti dove far fare loro tirocinio» sostiene la rettrice «Se c'è necessità di medici oggi non la risolviamo con i tremila studenti che sono qui in Fiera. Ricordiamo che per formare un medico di qualità, ovvero quello che vorremmo che ci curasse in caso di bisogno, occorrono minimo 11 anni tra corso di laurea e scuole di specializzazione. La soluzione, quindi, non è togliere il numero chiuso, ma ragionare in termini di programmazione e investimento a livello ministeriale partendo dall'analisi dei fabbisogni della medicina del futuro» prosegue ribadendo la lettura data qualche tempo fa al nostro giornale dal professor Angelo Dei Tos, che in qualità di neoeletto presidente della Scuola di Medicina, per superare la carenza dei medici aveva indicato a sua volta la strada della programmazione e l'iniezione di risorse per sostenere la formazione di un maggior numero di studenti.«Se servono più medici deve essere il Governo a fare un forte investimento per aumentare docenti, aule e laboratori» prosegue Mapelli «Ma il tema riguarda anche la specializzazione: se l'Università aprisse e poi non ci fosse un numero sufficiente di borse a disposizione, si creerebbe di nuovo un imbuto e comunque non ci sarebbero i medici necessari».Del resto, proprio per evitare che gli studenti decidano il loro destino con un unica prova, spiega la rettrice, «già dal prossimo anno accademico gli studenti potranno eseguire il test fin dalla quarta superiore, per un totale di 4 volte, scegliendo di presentare poi il punteggio migliore per entrare. È un'iniziativa importante perché servirà loro anche come forma di orientamento per capire se effettivamente quella è la strada che vogliono scegliere. Inoltre è prevista una condivisione della preparazione nelle varie materie con le componenti disciplinari più importanti sulle piattaforme. Almeno questo è quello che sta facendo questo ministro, dopodiché non so che succederà in futuro». Mescolato tra i genitori dei ragazzi in attesa «a curiosare», c'era anche il presidente dell'Ordine dei Medici: «Se vogliamo discutere la qualità del test sono più che d'accordo» sostiene Domenico Crisarà «altra cosa è pensare di cancellare il numero chiuso con le chiacchiere elettorali dopo che fino a due anni fa, in sanità sono stati fatti tagli orizzontali. Questa situazione l'abbiamo già vissuta: facendo saltare il numero chiuso si crea una pletora di laureati di scarsa qualità che resterà disoccupata per anni. Le Università sono strutturate per garantire una formazione di una certa qualità e i fabbisogni vanno programmati in anticipo».La versione della politica Una battaglia che rivendica da primo il governatore del Veneto ma che ha visto schierarsi anche Francesco Peghin, candidato con i moderati di Brugnaro, la consigliera regionale M5S Erika Baldin e il senatore Antonio De Poli. «Questo è uno dei miei cavalli di battaglia da un decennio» sostiene Luca Zaia «e non accetto che la questione venga liquidata come una posizione campanilistica da campagna elettorale, né questo tema ci vede contrapposti all'Università che è il nostro faro. Tuttavia, di fronte alla mancanza di medici bisogna guardare in faccia la realtà. Se di sbarramento bisogna parlare, è necessario vedere dove collocarlo. Ad esempio potrebbe essere dopo il primo anno, o comunque in corso d'opera, ma prima è necessario dare a tutti la possibilità di esprimersi, al di là del nozionismo richiesto da un test di ingresso che nulla ha a che vedere con il talento e le conoscenze mediche e che rischia di lasciar fuori persone che hanno un talento innato, magari per la chirurgia. Lo sbarramento va fatto sulle capacità, non possiamo pensare di perdere nemmeno un talento». Per Zaia «la programmazione fatta in passato ha fallito» dice e sottolinea che «tutti quelli che parlano oggi vengono da un modello di università senza sbarramenti come me». Pertanto «non può essere la programmazione che regola il mercato» perché «la selezione va fatta consentendo ai migliori di testare le proprie capacità, mentre gli altri potranno contare su altre carriere, usando le lauree triennali come ammortizzatori». Dopodiché, se i migliori dovessero essere numerosi al punto da richiedere un'ulteriore iniezione di risorse «il Governo e per la sua parte la Regione interverranno per assicurare le risorse necessarie, dopo che hanno speso miliardi per Covid e Pnrr» questo considerando che «per abilitare un medico, dopo gli accordi per mandare gli specializzandi in corsia, bastano sei anni» e conclude «lo sbarramento è una visione pericolosa che non condivido». --© RIPRODUZIONE RISERVATA