I VISI INDELEBILI E Le parole che ci mancano

Alla fine, restano solo i visi. Il sorriso gentile di Archie, che sarà dodicenne per sempre; gli occhi di sua madre, che resterà per sempre la madre di Archie. Non c'è reversibilità nel diventare genitori, non si smette di essere madri e padri nemmeno quando accade la più inconcepibile delle morti che possa toccare a un essere umano, quella di un figlio. Restano i visi e sono insufficienti le parole, o meglio: appaiono in tutta la loro inutilità perfino a noi che le usiamo ogni giorno per posizionarci, schierarci e dibattere con chi non la pensa come noi arroccandoci su cosa è giusto e cos'è sbagliato, noi che usiamo magari più cautela ma altrettanta determinazione se parliamo di fine vita, ma comunque cerchiamo falle e crepe nelle argomentazioni degli altri per rafforzare le nostre. Noi che leggiamo, ci informiamo, sosteniamo referendum, crediamo di sapere come è giusto dire addio alla vita, se non per gli altri di certo per noi. Anche il più sincero e documentato degli affanni nasconde la paura. E oggi siamo di fronte a quella più spaventosa e ammutolente, perdere la persona che abbiamo generato e cui abbiamo promesso che l'avremmo protetta per sempre, da tutto. Tutto significa: non solo da ciò da cui ci sarebbe stato possibile proteggerla, ma anche dall'oltreumano, dal fato, dalla morte.Oggi restano i visi di Archie e di Hollie, in quello scatto insieme in cui sono biondi, belli, uguali nella forma degli occhi e in un accenno di malinconia che emerge nonostante un sorriso sincero. Quella madre che oggi dice: ho fatto fino in fondo quello che dovevo, quello che potevo. Ma quello che si può fare ha sempre un limite, ed è quel limite a far male. «O mia compagna, o mia sorella. Ismene, sai tu quale dei mali che provengono da Edipo, Giove sopra noi non compia, mentre siamo ancor vive?», chiede Antigone. C'è qualcosa di più doloroso della morte di chi ci è caro, dice Sofocle, ed è, dopo non averne potuto proteggere la vita, non poterne proteggere la morte. Quello che rimane oggi di quel testo, quello che lo rende immortale è che ci sarà sempre, in ogni tempo e in ogni parte del mondo, uno Stato a sancire cosa è giusto e una donna a sentire un'ingiustizia. E ci saranno sempre spettatori alieni convinti di sapere chi ha ragione e chi torto, parteggiando per l'uno o per l'altro. Questa, però, non è la loro storia, e a pensarci bene nemmeno quella dello Stato. È la storia di Antigone sorella di Polinice, e di Hollie Dance madre di Archie Battersbee. Noialtri, dal buio della platea, possiamo parlare di sfide pericolose per gli adolescenti, possiamo giudicare le sentenze, possiamo commuoverci o indignarci, possiamo perfino - purtroppo - decidere di tirare per la giacchetta questa storia per metterla nella casella del nostro schieramento, da un lato e dall'altro. Questa storia che non è la nostra e di fronte alla quale la seconda paura che ho è quella delle parole di chi oggi crede di sapere cos'è giusto con indubbia verità. Una verità netta, senza incrinature, senza crepe, senza un fondo di buio e di dubbi. Una verità qualsiasi che non sia l'unica accettabile, quella che Sofocle subito, prima ancora che cominci il dramma, mette in bocca a Ismene: «Io dunque, ai morti chiedo perdono». --© RIPRODUZIONE RISERVATA