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Niccolò Carratelli / Roma Vince chi perde meno voti. Se c'è una lezione da apprendere, dopo questo doppio turno di elezioni amministrative, è che le forze politiche devono pensare innanzitutto a tenersi stretti i propri elettori. Ai ballottaggi l'affluenza, nei 59 comuni interessati, si è fermata poco sopra il 42%, in ulteriore calo rispetto al 54% del primo turno (negli stessi comuni). Questo significa che un 12% di cittadini ha rinunciato a esprimersi per scegliere il proprio sindaco: perlopiù delusi, perché il loro candidato era stato eliminato dalla competizione due settimane prima e, evidentemente, non sufficientemente stimolati a sceglierne un altro. Un fenomeno che ha riguardato entrambi gli schieramenti, ma ha penalizzato di più il centrodestra, che ha visto diminuire i suoi voti (in valore assoluto) in modo consistente, soprattutto nelle città in cui ha subito una rimonta da parte del centrosinistra. I voti evaporatiSecondo i flussi analizzati dall'Istituto Cattaneo, ad esempio, a Monza il sindaco uscente Allevi ha subito perdite maggiori (21%) rispetto all'avversario Pilotto, che poi lo ha battuto. Stesso discorso a Parma per l'ex sindaco Vignali, frenato da un -24% di non votanti. Ancora più evidente la dinamica ad Alessandria, dove allo sconfitto Cuttica sono mancati 36 voti su 100 presi il 12 giugno, mentre il neo sindaco Abonante ne ha lasciati per strada 21. O a Catanzaro, dove le stime dicono che il candidato di centrodestra Donato ha visto evaporare la metà dei voti conquistati al primo turno, mentre il neo sindaco Fiorita ha avuto perdite molto più limitate (10%). La tendenza, del resto, è stata osservata anche in città dove il centrosinistra era già in vantaggio al primo turno, come Piacenza, o in altre dove pure il centrodestra ha vinto, come Sesto San Giovanni. Il passaggio di voti da uno schieramento all'altro è ovunque di dimensioni contenute, fatta eccezione per Catanzaro. In generale, i candidati di centrosinistra si sono dimostrati più attrattivi per gli elettori delle liste "eliminate". E, d'altra parte, il centrodestra ci ha messo del suo, alimentando divisioni all'interno della coalizione, che hanno disorientato gli elettori. Emblematico il caso di Verona, con il mancato accordo tra il sindaco uscente Sboarina e il suo predecessore Tosi, che ha favorito la vittoria di Tommasi. Il ribaltone nei capoluoghiLa conquista di Verona da parte del centrosinistra è di quelle che spostano la bilancia politica nel valutare l'esito di questa tornata di amministrative. Anche se non va dimenticato che, al primo turno, il centrodestra aveva preso Palermo con Lagalla e confermato Bucci a Genova. In generale, nei 13 capoluoghi in cui si sono tenuti i ballottaggi, c'è stato un rovesciamento di prospettiva: il centrodestra aveva 10 sindaci e il centrosinistra 3, ora sono 4 contro 7, mentre 2 sono civici. Considerando, invece, tutti i 26 capoluoghi in palio, tra primo e secondo turno, il centrodestra ne aveva 20 e ne ha presi 13, il centrosinistra ne aveva 6 e ora sono 11. Su 26 solo tre sono le sindache, a Piacenza, Cuneo e Viterbo. Il quadro diventa meno buio, per Salvini, Meloni e Berlusconi, se si considerano anche i comuni più piccoli: il centrodestra è passato da 54 a 58 sindaci, il centrosinistra (con e senza M5s) da 48 a 53. Anche guardando i flussi di voto, rispetto alle europee del 2009, quando le due macroaree politiche avevano ottenuto a livello nazionale una quota simile di consensi, il sostanziale equilibrio tra centrodestra e centrosinistra non sembra cambiato di molto: 39,9% contro 40,5%, secondo l'analisi dell'Istituto Cattaneo. «Alle politiche più affluenza»Sul "campo largo" di Letta pesa l'incognita 5 stelle: la gran parte di chi nel 2019 aveva votato il Movimento stavolta si è dispersa nel non voto e degli 8 sindaci pentastellati uscenti solo uno è stato riconfermato, a Mottola, in provincia di Taranto. «C'è stato uno squagliamento del M5s al Sud, dove nel 2018 fece il pieno di consensi, ed è una pessima notizia per il Pd in vista delle politiche - spiega Lorenzo Pregliasco di Youtrend - d'altra parte va detto che anche nel 2017 i 5 stelle erano in crisi, poi l'anno seguente presero 11 milioni di voti». Inoltre, l'affluenza è una variabile decisiva e «alle politiche avremo almeno 30 punti in più rispetto alle comunali - aggiunge Pregliasco - basta pensare che il 70% degli italiani non vive nei capoluoghi, ben 10 milioni abitano in piccoli comuni, e alle politiche un voto a Roma conta esattamente come un voto a Canicattì». Poi ci sono gli astenuti da rimotivare e «sarà interessante capire se Fratelli d'Italia riuscirà a pescare nel bacino dell'elettorato poco ingaggiato politicamente - dice Pregliasco - e a intercettare il voto antisistema, che è soprattutto al Centro-Sud e che nel 2018 premiò il M5s». Avvicinare gli elettori non votanti sarà la sfida decisiva, per Meloni come per Letta. Prima, però, è fondamentale tenersi stretti quelli che già li votano. --© RIPRODUZIONE RISERVATA