Electrolux ferma le fabbriche vent'anni fa bastava a se stessa
Elena Del GiudiceSolo lo stabilimento di Porcia, dedicato alla produzione di lavatrici, in meno di 6 mesi ha collezionato oltre 40 giorni di stop produttivo, a cui sommare i fermi del 2021 e quelli del periodo agosto-dicembre 2020, i mesi della grande ripartenza dopo il primo lockdown. Meno impattante, ma non assente, il problema a Susegana, lo stabilimento Electrolux specializzato in frigoriferi. Difficoltà anche a Forlì (forni e piani cottura) e a Solaro (lavastoviglie). La causa? La carenza di componenti e semilavorati che il colosso del "bianco" acquista all'estero, soprattutto in Cina (e non solo). Sui chip più fattori determinano la carenza: i produttori concentrati in Cina, la competizione tra settori (ad esempio l'automotive) e imprese con sede in quel Paese che possono far scattare un privilegio nella scelta di chi fornire. E a quale prezzo. E poi ci sono le schede elettroniche, la plastica, ecc.Electrolux, come altri, paga un conto alla globalizzazione e alla crisi post-Covid, che nel caso del colosso svedese, è più amaro. Perché, diversamente da altri, non troppo tempo fa, bastava a se stessa. Si può ripercorrere la storia dell'evoluzione dei modelli economici guardando una sola azienda? Se questa azienda si chiama Zanussi, oggi solo un brand della multinazionale svedese Electrolux, certamente sì. Alle origini, inizi del secolo scorso, era una piccola azienda artigiana pordenonese che compì un primo balzo di crescita grazie alle cucine a legna. Ma è quando il timone passò da Antonio Zanussi al figlio Lino che diventò "la" Zanussi, una delle grandi imprese italiane capaci di conquistare la leadership tra i produttori di elettrodomestici con marchi come Rex, Castor, Triplex, Becchi.... Un percorso iniziato nel secondo dopoguerra con la produzione di fornelli a gas, e proseguito con i frigoriferi, le lavatrici e le lavastoviglie, spaziando dal "bianco" al "bruno" (la Séleco nacque, infatti, dentro la Zanussi). Le dimensioni sempre maggiori del business imposero l'edificazione di un grande stabilimento a Porcia in cui concentrare inizialmente tutta la produzione, poi arrivò la decisione di assegnare mission diverse a sedi diverse, ed ecco nascere in Comina la Sole (motori per lavatrici e pompe), a Maniago la fonderia e la pressofusione in alluminio per sé per terzi, e la trafileria di rame, l'Infa ad Aviano per i componenti in plastica, e ancora a San Fior un'altra fonderia. E via via sino a dare vita, nel raggio di poche decine di chilometri, ad un vero e proprio distretto dell'elettrodomestico che si andò sommando alle prime sedi estere e alle acquisizioni. Un distretto sorto anche per "gemmazione" grazie alla nascita, nel territorio a cavallo tra Pordenone e Treviso, di diverse aziende vocate a diventare fornitori della Zanussi. Nel '68 la morte improvvisa di Lino Zanussi cambio le sorti dell'azienda, anche se non fermò subito la crescita - e a debito - sino ad arrivare sull'orlo del crac a metà anni 80, quando a salvare la Zanussi arrivò la svedese Electrolux, produttore di aspirapolveri, che grazie a quell'operazione diventò un colosso del settore. All'epoca dell'acquisizione il gruppo Zanussi contava una cinquantina di stabilimenti e non solo per la produzione del prodotto finito, ma anche dei componenti. Negli anni 90, i primi investimenti nei Paesi low cost del vecchio continente, partendo dall'Ungheria, alla ricerca di vantaggi competitivi.La galassia restò - quasi - intatta (qualche cessione in realtà era già avvenuta, ad esempio la Procond di Longarone e la Ducati di Bologna) fino al 2000 quando Electrolux, con l'allora ceo Michael Treschow, soprannominato "la lama", optò per un cambio di strategia: focus sul core business (ovvero l'elettrodomestico e le apparecchiature professionali), e dismissione di tutto il resto. E in "tutto il resto" finì Ecc, Electrolux Components Companies, la holding di tutte le società che producevano componenti. Il primo tentativo fu la vendita in blocco (16 stabilimenti e 9 mila addetti nel mondo, di cui 5 stabilimenti in Italia con 3 mila dipendenti), poi per singole società. Per prima se ne andò la Zml di Maniago, al fondo Usa Carlyle, poi la Sole approdata alla neonata Acc (Appliances Components Companies, per iniziativa di Gianmarco Rossignolo che voleva ricreare un polo della componentistica a Nordest, con Valer Taranzano Ad) che rilevò successivamente anche Mel (compressori), E addio al concetto di Gruppo che poteva, quasi esclusivamente, bastare a se stesso. Poi la spinta a cercare fornitori sempre più competitivi, raramente italiani, ha ridimensionato quel distretto, che esisteva nei fatti, a servizio dell'elettrodomestico made in Italy. Lo stesso distretto di cui il Covid ci ha ricordato l'importanza.--