Le sconfitte di Salvini e Conte e la spinta al proporzionale
Il doppio voto amministrativo di giugno fornisce indicazioni sugli schieramenti che, tra poco meno di un anno, si disputeranno il governo del paese. Le urne confermano che la destra è, attualmente, in vantaggio sulla sinistra. Cambiano invece i rapporti interni alle coalizioni: a destra la Lega si vede superare da Fratelli d'Italia, anche a Nord. Al Sud, poi, non vi è gara. Quadro che conferma come il progetto di Salvini, fare del Carroccio un partito nazionale, non solo sia fallito ma non riesca nemmeno a fermare l'avanzata dell'alleato-competitore in quello che un tempo era il proprio territorio d'elezione. Che lo sconfitto a destra in questa duplice consultazione, referendaria e amministrativa, sia Salvini è evidente. La prima è finita come previsto: non solo perché incomprensibile ai più, ma anche perché la mossa salviniana è apparsa per quel che è: un tentativo di rivincita di un pezzo di ceto politico sulla magistratura. Tentativo che ha avuto, oltretutto, l'aggravante di delegittimare ulteriormente l'uso dello strumento referendario, sempre più indebolito dall'uso demagogico e scriteriato che ne è stato fatto negli ultimi anni, oltre che dalla sempre più stringente giurisprudenza della Corte costituzionale.Fatto sta che la Lega esce ammaccata dal doppio voto. Bisognoso di cortine fumogene, Salvini ha riunito lo stato maggiore del suo partito a spoglio ancora in corso per parlare di bollette, stipendi, caro vita. Temi non certo irrilevanti, ma che andavano affrontati, seriamente, in altro momento, non per parlare d'altro di fronte agli scricchiolii provenienti dalle urne. Se la destra riuscirà ad andare unita alle elezioni, potrebbe non esserci partita, ma come arriverà alla fatidica scadenza, se Salvini e Meloni continueranno a disputarsi lo scettro senza risparmio di colpi e Berlusconi si rivelerà insofferente verso l'uno e l'altro?Un anno d'attesa potrebbe essere un'era geologica per le ambizioni dei giovani leader e per il lacerato partito azzurro, anche perché sia Fdi che la Lega vorranno essere il perno di quello schieramento e ottenere un consistente peso nelle liste. Nel fronte opposto i problemi sono anche maggiori: il Pd è senza dubbio la prima forza, ma non riesce a andare molto oltre il 20%. Soprattutto, il risultato degli alleati mostra che non esiste campo largo. Il consenso al M5S è evaporato: da Genova, città di Beppe Grillo, a Padova, sino a Parma, città in passato teatro della loro prima storica vittoria dove ora non si sono nemmeno presentati e la vittoria arride al delfino dell'ipercritico transfuga Pizzarotti, le loro percentuali sono irrisorie; nell'ex-granaio del Sud, poi, dove le messi erano abbondanti, il raccolto è sempre più magro. Insomma, pur importante, il caso Lodi non fa primavera. In queste condizioni, e in presenza di un centrismo radicale come quello di Azione e Idv, i cui leader non sono disponibili a allearsi con i cinquestelle, la coalizione larga non esiste, numericamente prima ancora che politicamente. Non è escluso, del resto, che Conte, l'altro grande sconfitto di queste elezioni, mediti dopo l'estate di andare all'opposizione e poi da solo alle urne. Una situazione che potrebbe indurre il Pd a accelerare verso una legge elettorale proporzionale, lasciando che la formula di governo sortisca dal dopo voto. Situazione che farebbe felice anche quanti, trasversalmente, non intendono restare orfani di Draghi. --© RIPRODUZIONE RISERVATA