La rinuncia al protagonismo popolare
Il mare, politicamente parlando, non è sempre uguale. Chi seguì l'invito ad andarci da parte di Bettino Craxi era l'Italia dello status quo, che fu travolta dall'Italia che voleva cambiare, anche attraverso il grimaldello della preferenza unica. Chi non ci è andato ieri è l'Italia della disaffezione. È un dato iper-politico questo record di astensionismo sul referendum, perché la disaffezione è un sentimento dentro il quale ci sono tanti possibili sviluppi della crisi italiana: una rabbia sopita, una rivolta potenziale alla ricerca di forme di espressione, una secessione più o meno stabile tra popolo e sistema politico. Certo, i quesiti più popolari - dall'eutanasia alla responsabilità civile dei magistrati - non sono stati ammessi. E questo ne ha minato la capacità attrattiva. E non c'è dubbio che dell'istituto referendario si è abusato da anni. E poi ci sono le responsabilità di Matteo Salvini, diventato ormai una sorta di Re Mida al rovescio che produce distacco da tutto ciò che tocca. Grottesca la sua campagna: ha persino invitato gli italiani a votare per la responsabilità civile dei magistrati - quesito che non c'era - non riuscendo a maneggiare quello sulla custodia cautelare, quesito che c'era, per non correre il rischio di non poter più gioire di fronte all'arresto di uno spacciatore. Capita l'aria, si è nascosto.Se l'operazione era quella di rilanciarsi come leader del centrodestra sul terreno che ha segnato il grande discrimine dell'Italia berlusconiana, si può dire che è francamente fallita. Anche in un'era attraversata dalla crisi di reputazione della magistratura. Ma forse nessuno di questi elementi, da solo, spiega il tutto. Non è un caso che la rottura senza precedenti del rapporto tra il popolo e l'istituto referendario avvenga proprio nell'era del default di un sistema dove sono saltati i meccanismi fisiologici di funzionamento. Ed è costretto ad affidarsi a soluzioni di emergenza (da palazzo Chigi al Quirinale) dopo dieci anni di governi non espressione della volontà popolare.C'è stato un tempo in cui i referendum aprivano una nuova stagione. E senza scomodare gli anni Settanta o la fine della Prima Repubblica è stato così anche nel 2011 sull'acqua pubblica, l'ultima volta che raggiunse il quorum. E che registrò una grande partecipazione dei cento popoli della sinistra e delle parrocchie, in nome di quella domanda di "beni comuni" e, anche in quel caso, di "cambiamento" che poi si sentì tradita dal governo Monti. Ed infatti è arrivato Grillo, che incanalò in forma urlata e rancorosa quel bisogno.Stavolta il dato più basso che si sia registrato è un ulteriore tassello della crisi del sistema politico. Che va ben oltre la giustizia, dove non si è riusciti ad approvare la riforma Cartabia prima del voto, come più volte annunciato. E poi neanche a mobilitare più di tanto sul referendum. C'è dentro l'idea che "tanto non serve" e la rinuncia, per disabitudine, a un protagonismo popolare. Sembra un mare piatto. Invece è potenzialmente tempestoso. --© RIPRODUZIONE RISERVATA