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la storia«Avrei voluto salutare per l'ultima volta mia madre. Ma era affetta da Covid e non l'ho potuto fare». Un appello garbato, come i modi di Antonietta Garbujo, figlia di Natalina Agostini, ottantottenne di Noale deceduta lo scorso 30 gennaio all'ospedale di Dolo. L'ultimo atto della storia della signora Natalina Agostini inizia il 7 gennaio quando arriva al pronto soccorso di Mirano per una frattura al femore. Un infortunio che capita spesso, specie tra le persone anziane, come avvio di un percorso difficile da affrontare. «Mia mamma fu trasferita in ortopedia a Chioggia», dice la figlia, «per essere operata l'11 gennaio. Superato l'intervento, nonostante tutte le sue patologie, chiedemmo il trasferimento in un ospedale di comunità. Ma il 17 gennaio ci fu comunicato che la mamma era positiva al Covid e pertanto venne trasferita nel reparto di Geriatria Covid a Dolo. In questo reparto venne presa in cura amorevolmente e ogni giorno ci relazionavano sulle sue condizioni, essendo lei fragile e non stabilizzata. In questo periodo non potei vedere la mamma, ma ci furono alcune videochiamate molto importanti perché davano forza e coraggio». Il 27 gennaio l'anziana venne trasferita nel reparto Medicina Covid, sempre a Dolo. «Mi fu comunicato che le sue condizioni erano gravi», continua la figlia, «e avrebbe avuto poco tempo prima di morire. Domenica 30 gennaio mia sorella ed io arrivammo a Dolo alle 16 per starle vicino, sperando di poterla vedere per l'ultima volta, ma non ci fu concesso dal medico di turno. Solo il primario poteva farlo. Purtroppo mia madre morì alle 16.30». E l'amara considerazione: «Non ci fu il tempo». Le parole di Antonietta s'interrompono per l'emozione ed è chiaro che in lei non c'è alcun rancore, nessun intento polemico. C'è solo l'esigenza di metabolizzare il dispiacere di non aver potuto dire "ciao mamma" prima che lei chiudesse gli occhi per sempre. «So che probabilmente era il destino di una persona di 88 anni pluripatologica», riflette Antonietta, «Ma credo che dopo molti mesi di pandemia si debba permettere ai familiari di un malato terminale affetto da Covid di poterlo salutare per l'ultima volta. Una stanza del congedo dove io avrei potuto vederla, chiaramente con tutte le precauzioni del caso. Abbiamo il dolore di aver perso una mamma, una nonna meravigliosa, ma voglio aiutare altre famiglie che in futuro si troveranno nelle nostre condizioni. L'ospedale è un luogo di cura, ma deve essere anche un luogo di umanità. Noi siamo stati fortunati perché abbiamo potuto vederla in videochiamata, ma non voglio che si debbano supplicare i medici per poter dare un'ultima carezza a chi amiamo».Ecco che questo episodio non vuole essere raccontato per essere fine a se stesso. Lo scopo di Antonietta e dei suoi familiari è che la scomparsa di Natalina sia servita per dare al domani nuove speranze. «Mia madre non tornerà in vita», conclude Antonietta, «Sarebbe bello che in tutti i reparti degli ospedali del Veneziano o del Veneto si potesse prevedere una soluzione di questo genere. Credo che qualunque parente non avrà nulla da ridire se dovrà giustamente vestirsi in maniera adeguata per evitare che il contagio si propaghi. Ogni regola e ogni attenzione andranno bene. Però non lasciamo morire soli i nostri anziani: facciamolo per i congiunti, ma soprattutto per i nostri nonni, le nonne, le mamme o i papà che hanno speso la loro vita per renderci felici. E sono sicura che ognuno vorrà essere al loro fianco, specialmente nel momento in cui ci stanno lasciando». -- alberto sanavia© RIPRODUZIONE RISERVATA