Acc, asta per la vendita deserta E i sindacati chiamano Roma

borgo ValbellunaLe previsioni purtroppo si sono avverate: è andata deserta l'asta pubblica di vendita dell'Acc di Mel. Nessuno dei due investitori, vale a dire la giapponese Nidec e la tedesca Secop, che avevano dichiarato il loro interesse ad acquisire la fabbrica bellunese, ha presentato nei termini, cioè entro la serata di ieri, una offerta vincolante di acquisto. Queste le notizie che ufficiosamente trapelano dai corridoi dei palazzi romani e che attendono una ufficialità nei prossimi giorni dal ministero dello Sviluppo economico. Intanto insorgono Fiom, Fim e Uilm bellunesi che chiedono al ministro Giancarlo Giorgetti di essere convocati immediatamente per capire cosa accadrà, soprattutto in merito ai promessi finanziamenti.Che la gara sarebbe andata così è diventato evidente nel momento in cui il colosso giapponese, con l'intervista al ceo Valter Taranzano, ha esplicitato il proprio ritiro dall'asta. A quel punto è stato chiaro che anche la seconda società avrebbe fatto lo stesso. Certo, tutti speravano che questo non accadesse. A questo punto, sarà avviata la trattativa privata per trovare un nuovo investitore. Il commissario straordinario Maurizio Castro avrà tempo fino al 16 marzo 2022 per trovarne uno e se le relazioni dovessero essere in uno stadio avanzato ma non concluse, potrebbero essere richiesti altri tre mesi.Nel frattempo, però, i sindacati si dicono più che preoccupati soprattutto in merito al prestito promesso dal Mise tramite l'articolo 37. Infatti, nell'ultimo incontro tra sindacati e organi ministeriali, era stato precisato che l'erogazione del prestito tramite l'articolo 37 del decreto Sostegni sarebbe dipesa dall'entità delle offerte. «Ora che di offerte non ce ne sono, i soldi ce li daranno o no?», si interrogano Stefano Bona della Fiom, Michele Ferraro della Uilm e Mauro Zuglian della Fim che chiedono a gran voce di essere convocati a stretto giro dal ministro Giorgetti. «Se siamo arrivati a questo punto», dicono i sindacalisti, «è anche per tutta la situazione che si è creata intorno a questa fabbrica. L'incertezza sui finanziamenti, i progetti che prima c'erano e poi sono stati ritirati, la mancanza di una politica industriale da parte del governo: tutto questo non ha certo giovato ad Acc e alla sua vendita. E di questo chi di dovere dovrà assumersi le responsabilità. Certo se fossero arrivati i 12,5 milioni che ci spettavano a settembre 2020 a quest'ora saremmo venduti con il pieno dei volumi (2,5 milioni di pezzi), di dipendenti (350), di investimenti fatti e di prezzo incassato (8,5 milioni di euro parlava la perizia). E invece siamo tornati non al punto di partenza, ma più indietro».P.D'A.© RIPRODUZIONE RISERVATA