Letta, la prima mossa mette in scacco il Pd Segreteria unitaria ma nomi scelti da lui

il casoCarlo Bertini / Roma C'è un filo che lega tutte le cose che ha fatto ieri Enrico Letta. Varare la segreteria in tempi record, parlare con il capo della Cgil Landini, con un big dei 5Stelle come Fico, con Carlo Calenda e con gli insegnanti «feriti dalla buona scuola», serve a dare un'idea precisa: che «c'è un quadro nuovo rispetto a un mese fa, con il Pd protagonista», dicono al Nazareno.Un blitz senza preavviso quello della segreteria (l'organo di governo del partito), che ha fatto infuriare gli ex renziani di Base riformista rimasti a bocca asciutta. Ieri a sorpresa ecco i 16 nomi, metà donne (parità di genere rispettata), diversi ritorni (come l'ex ministro Francesco Boccia, lettiano della prima ora), qualche new entry, come l'ex ct della pallavolo, Mauro Berruti. O Fumagalli, per mostrare attenzione alle partite Iva fin qui trascurate. Nomine che trasmettono segnali, ai capicorrente e al popolo dem: il leader ha voluto una segreteria unitaria, tirando dentro tutti, compresa la sinistra di Orfini che era in minoranza. Riuscendo però a scontentare molti, perché anche nei serbatoi dove ha attinto di più, ha pescato da solo, in base alle competenze. Il coordinatore sarà Marco Meloni, braccio destro di Letta. «Storia nuova, tutto azzerato, ci sarà un confronto meno stratificato da incrostazioni della fase precedente», è convinzione del segretario.«Noi siamo con le spalle al muro, non possiamo dire nulla, ma siamo i più penalizzati», sbottano i pasdaran ex renziani, facendo notare che Base Riformista è stata declassata: un solo membro rispetto all'era Zingaretti, Enrico Borghi, già lettiano doc. Ad Areadem di Dario Franceschini due posti, Manuela Ghizzoni e Chiara Braga. Gli unici ad aver sbancato sono i Dems di Andrea Orlando: oltre al vicesegretario Provenzano strappano Anna Rossomando e Antonio Misiani. Zingaretti ha Cecilia D'Elia e vede confermato Stefano Vaccari nel ruolo chiave di responsabile organizzazione.Ma c'è un altro segnale in arrivo per le correnti, che si devono fare una ragione del cambio di passo: le dimissioni di Brando Benifei da capogruppo all'europarlamento, viste al Nazareno come «un gesto elegante» di chi ammette che è cambiata una fase politica, sono quello che Letta si aspetterebbe dai capigruppo di Camera e Senato, Delrio e Marcucci. Con i quali martedì ci sarà una sorta di resa dei conti nelle assemblee dei gruppi parlamentari. Delrio aspetta di parlare col segretario prima di decidere se dimettersi, come fece quando arrivò Zingaretti. Sapendo che i numeri alla Camera sono dalla sua parte. E che i numerosi deputati ex renziani (che sarebbero chiamati a scegliere a scrutinio segreto tra due candidati) hanno il dente avvelenato con Letta. Marcucci resiste, ma accetterebbe per gli stessi motivi la «conta». Di sicuro il segretario vuole che in uno dei tre posti vi sia una donna.Anche per dare il segno di voler ricucire gli strappi dell'era Renzi, Letta ha voluto incontrare Landini, segretario del «sindacato più grande d'Europa»: per sancire «una volontà di dialogo sociale nuovo, salutare per tutti, dopo anni di sbornia della disintermediazione». Così come agli insegnanti - tradizionale bacino di voti del Pd - ha dedicato la sua prima uscita da segretario. E non è un caso. Così come non lo è l'incontro con Calenda, interlocutore importante per la costruzione del nuovo centrosinistra. E con il quale si dovrà cercare un accordo a livello locale (vedi Roma) e nazionale. --© RIPRODUZIONE RISERVATA