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Francesca Paci / RomaPaola e Claudio Regeni hanno finito, dopo le lacrime, le parole. Il presidente della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'assassinio del giovane ricercatore friulano, Erasmo Palazzotto, la mette giù dura: «La scelta di questo governo tradisce un po' le promesse fatte alla famiglia». Il premier Conte è quindi chiamato a riferire «urgentemente» sugli ultimi sviluppi del caso Regeni.I social network listano a lutto l'insegna gialla che ancora, sbiadita, garrisce dal balcone di qualche municipio, chiedendo verità. A 4 anni e mezzo dalla scoperta che il Cairo poteva riservare a un cittadino italiano la sorte ferocemente destinata dal 2013 a migliaia di oppositori egiziani, il fantasma del compromesso geopolitico agita l'esecutivo giallo-rosso come aveva agitato i precedenti. L'autorizzazione di Roma alla vendita di due fregate all'Egitto, Paese chiave per risolvere il rebus libico, ma oggi assai in difficoltà per la disfatta del suo protetto Haftar, assesta l'ennesima scossa alla maggioranza messa a dura prova dal coronavirus. Il caso Regeni è il banco di prova di tante cose, la tenuta dei valori democratici, l'equilibrio tra soft e hard power il peso dell'Italia nel Mediterraneo. Lo è stato sin dall'inizio, quando davanti al muro di gomma e bugie alzato dalle autorità del Cairo l'allora ambasciatore Maurizio Massari appese la gigantografia di Giulio al posto della foto del presidente della Repubblica all'ingresso del Consolato. E fu mandato a Bruxelles. L'imperatore è nudo, ammette il generale Leonardo Tricarico a Formiche.net, spiegando che «se si dovesse valutare ogni possibilità di esportazione sulla base del tasso di democrazia dei Paesi destinatari, non si esporterebbe più nemmeno uno spillo». Lo stesso approccio rivendicato da Salvini due anni fa, quando, dal Viminale, diceva di comprendere le ragioni della famiglia «ma per l'Italia è fondamentale avere buone relazioni con un Paese importante come l'Egitto». Eppure le due fregate della discordia, Nave Spartaco Schergat e Nave Emilio Bianchi, il primo tassello di un accordo progettato in grande, sono molto di più di un'intesa commerciale da 1,2 miliardi. Perché al governo Conte partecipa una fetta d'Italia che, dal Pd alla corrente grillina facente capo al presidente della Camera Fico, ha sempre chiesto verità e giustizia per Regeni. «Quella di Palazzotto e della Commissione è un'iniziativa doverosa, ma non scontata a cui va il nostro plauso, anche perché la cosiddetta commessa del secolo è in realtà la vergogna del secolo» ragiona Riccardo Noury di Amnesty International, la sigla che per anni ha tenuto viva la memoria di Regeni salvo restare ai margini sul finale, quando lo scontro sulla strategia ha sparigliato le alleanze del cuore. Come approcciare l'Egitto, il Paese al 166esimo posto su 180 nella classifica di Reporter senza Frontiere sulla libertà di stampa, il cantiere di prigioni per l'opposizione, il Paese che 4 mesi fa ha imprigionato per presunta istigazione al terrorismo lo studente dell'università di Bologna Zaki, uno dei pochi in cella mentre criminali comuni venivano scarcerati per il coronavirus? Richiamare o no il nostro ambasciatore, vendicando Regeni ma magari condannando Zaki? Le domande non poste al Cairo, dove i ragazzi di Tahrir parlano di Regeni come uno di loro, tornano ora a Conte come un boomerang. --© RIPRODUZIONE RISERVATA