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La riflessioneQuando il silenzioè comunicativoStrano paradosso quello che stiamo vivendo in questi giorni in cui «Venezia è diventata vivibile proprio nel tempo della peste!». Enrico Tantucci nell'articolo apparso sulla "Nuova" del 14 marzo pone l'accento sul silenzio spettrale della città vuota ed enumera i rumori scomparsi totalmente da un giorno per l'altro. Rumori derivanti da quei flussi turistici cresciuti in maniera sproporzionata rispetto sia ai numeri dei residenti, sia alla fragilità e alla limitatezza del "contenitore". Rumori ancora derivanti dai residenti stessi, che si adeguano al basso livello dei gusti degli occasionali visitatori, dal vociare incontrollato ai telefonini che vanno per via, dalle musiche che nessuno ascolta emesse all'interno e diffuse spesso all'esterno dei negozi dettate da idiote strategie commerciali, verso le quali nessuno osa protestare, proprio perché non si è più consapevoli della bellezza del "silenzio". Alla fine dell'articolo, una citazione struggente di Giorgio Agamben secondo il quale «Venezia è il caso esemplare di una città che vive di ciò che la fa morire». Adeguandomi alle disposizioni in atto per il contenimento della nuova peste, esco soltanto per pochi acquisti, facendo un tragitto breve che mi permette di assaporare, meglio di "ascoltare" e godere del silenzio ritrovato. Un piacere che, tuttavia, con molto pessimismo trovo sia purtroppo effimero, fintanto che durerà questa situazione di attesa e finché (ce lo auguriamo ben presto) usciremo da questo forzato Lazzaretto. Sono pessimista! Quando questa situazione sarà alle nostre spalle, tutto tornerà come prima, con le stesse problematiche e con gli stessi rumori. Esattamente 18 anni fa ho realizzato uno spettacolo al Malibran ricordando i cent'anni della caduta del campanile di San Marco. Un avvenimento ugualmente luttuoso ma, dopo dieci anni, il campanile risorgeva per volontà unanime "com'era e dov'era!", salutato da una folla festante. Venezia ritrovava i suoi suoni e rumori naturali. Nella dissolvenza delle luci che concludevano lo spettacolo, sentii la necessità di aggiungere, a proposito del silenzio, la riflessione di un giurista come Francesco Carnelutti, che agli inizi del '900 diceva: «Il primo degli aspetti del qualcosa che non c'è più a Venezia, è un aspetto fisico: il silenzio. Il quale ricordiamolo subito non è il segno della morte, ma il segno della vita. Il rumore delle città moderne procede dal veicolo. Il veicolo di allora a Venezia era la barca a remi. C'erano bensì i vaporini sul Canal Grande, ma lenti e radi, con quel tanto di rumore che valeva a punteggiare il silenzio di tanto in tanto. Il silenzio di Venezia era un incanto. Il silenzio di Venezia era custodito dalla circostante laguna. Le isole dell'estuario, con l'eccezione di Murano e Burano, erano campagna. Ora in quel silenzio e in quella cintura di verde, acquatico e terrestre, sta forse il segreto che forse non mi riuscirà di decifrare, di quella Venezia che oggi non è più, purtroppo. Perché nel silenzio sta il segreto della comunicazione tra uomo e uomo e Venezia era allora, e comincia a non essere più oggi, la città più comunicativa che io abbia mai conosciuta. Dissolvenza - Buio - Fine».Enrico Ricciardi