"La porta della legge", buona la prima

di Massimo Contiero wVENEZIA Persa non molti anni fa la possibilità di dare alla Fenice "Luci mie traditrici", nel giro di due stagioni si vedono al Malibran due opere di Salvatore Sciarrino, che può oggi ritenersi il più noto compositore italiano in attività. Dopo "Aspern" del 2013, è la volta de "La porta della legge". Ancora il compositore forgia il testo prendendolo da un grande della letteratura. Se per "Aspern" la fonte era stata James, per "La porta della legge" viene utilizzato un breve racconto che è un'interpolazione al "Processo" di Kafka. È una sorta di parabola. Un uomo chiede a un guardiano il permesso di valicare una porta aperta e si vede procrastinare per anni un accesso che è apparentemente libero. Il permesso è accordato solo in coincidenza della sua morte. Vengono dunque rappresentate un'inane attesa, cui ci ha abituato il teatro di Beckett, e una proibizione inesistente, che fa pensare alla situazione a rovescio di "El ángel exterminador" di Luís Buñuel, dove i convitati di una cena non riescono a uscire da una sala dove tutte le uscite sono libere. Sciarrino acuisce il senso di angoscia e di mistero della situazione, riproponendola due volte con voci diverse: di basso-baritono per L'uomo 1,di controtenore per L'uomo 2, mentre resta sempre il basso per L'usciere. Iterazioni di vocaboli ("niente", "forse") e di frasi ("non può", "più tardi") fin dall'inizio creano un senso di impotenza, di indeterminazione, mentre provengono dagli strumenti esili soffi, glissandi, rare note del pianoforte su un continuo tremolio di lastra. Sciarrino è un grande alchimista di suoni, di timbri, secondo lo stile che lo ha imposto e ha fatto scuola. Rimescola bisbigli, brontolii, borbottii che sembrano rimuginare su quanto detto sul palcoscenico. Una musica spoglia che si contiene in una gamma dinamica ristretta. Da principio prevale la recitazione e sono rare le sillabe intonate. Poi il canto si afferma e si fa più continuo quando interviene il controtenore, la cui voce "falsa" sembra accentuare il senso di lamentazione. Non manca, in due versioni, una "canzone delle pulci": un autore così colto non può non aver pensato a "la canzone della pulce" del Faust, musicata da Beethoven, Berlioz, Mussorgksij. È stato ripreso l'allestimento del 2009 del Teatro di Wüppertal. La straordinaria regia di Johannes Weigand è imperniata su una gestualità anti naturalistica, fatta di atti essenziali e carichi di significato e talora gli attori sono fissati in una rigidità da manichino inerte. Si crea un senso di assurda esclusione a fronte di una porta che va ingrandendosi fino alla grandezza del fondale, per poi ridursi a una finestrella, alla fine inesorabilmente chiusa, soluzione scenografica essenziale ed efficacissima di Jürgen Lier, cui si devono anche i costumi. Tito Ceccherini si è dimostrato il direttore ideale per una partitura così complessa e raffinata nella sua essenzialità e ben gli hanno risposto l'orchestra della Fenice.