la tangentopoli veneta

di Giorgio Cecchetti wVENEZIA Aveva in azienda la Guardia di finanza per una verifica fiscale e si è deciso a parlare l'imprenditore veneziano Pierluigi Alessandri, anche perché le «fiamme gialle» c'erano arrivate e gli chiedevano insistentemente di quei 215 mila euro. Alessandri, allora, era ancora l'amministratore delegato della Sacaim, una delle maggiori imprese edili veneziane ora acquisita dalla friulana De Eccher dopo una crisi che l'aveva portata sull'orlo del fallimento, evitato grazie all'amministrazione straordinaria. Ieri, davanti ai giudici del Tribunale del riesame presieduti da Angelo Risi i pubblici ministeri Stefano Ancilotto e Paola Tonini hanno depositato lo stralcio di un verbale di Alessandri in cui racconta di aver consegnato 115 mila euro in contanti a Giancarlo Galan su sua richiesta e di aver compiuto lavori nella sua villa di Cinto Euganeo per altri 100 mila senza essere mai stato pagato. Nulla a che fare con il Mose e con il Consorzio Venezia Nuova e in apparenza con questa inchiesta, ma una conferma che il parlamentare di Forza Italia rinchiuso nel carcere milanese di Opera era solito richiedere mazzette e contributi, anche se per ora ha ammesso soltanto quelli elettorali. Per quei 215 mila euro anche Alessandri è finito nel guai, è infatti indagato per corruzione. Del resto Baita aveva già parlato della Sacaim in uno dei suoi interrogatori, affermando che in più di un'occasione Galan aveva chiesto a lui di inserire l'impresa veneziana in alcuni appalti. Alessandri ha riferito ai pubblici ministeri che era andato da Galan proprio per questo, per chiedere di lavorare perché l'impresa era in crisi e gli appalti concessi dal Comune non bastavano. Ha ripetuto che allora Galan gli disse che doveva entrare nella cerchia degli amici e gli fece capire che il sistema era quello di pagare. I fatti sarebbero avvenuti prima del 2009. I rappresentanti della Procura, per supportare la loro tesi, quella che Galan debba restare in carcere perché c'è il rischio che possa inquinare le prove, del resto è ancora ben inserito nel suo partito ed è ancora un membro della Camera dei deputati, hanno depositato anche alcuni stralci dell'interrogatorio di un altro imprenditore veneziano, Andrea Mevorach, un nome che non era ancora entrato nell'inchiesta sul Mose ma che prepotentemente si è affacciato proprio grazie al memoriale scritto di suo pugno da Galan. L'ex presidente della giunta veneta ha sostenuto, per inficiare la testimonianza della sua ex segretaria Claudia Minutillo, che quest'ultima si sarebbe trattenuto ben 300 mila euro che Mevorach, durante la campagna elettorale per le Regionali del 2005, aveva versato a suo favore. La prima domanda che i pubblici ministeri hanno avanzato nei giorni scorsi all'imprenditore veneziano è stata se mai aveva contribuito in qualche modo alle campagne elettorali di Galan. La risposta non solo è stata negativa, ma ha anche spiegato che non aveva motivo di foraggiare il governatore veneto, visto che lui non aveva alcun interesse in Regione, non aveva lavori da svolgere o da chiedere in cambio. Però, ha raccontato che almeno in un'occasione era stato avvicinato da Galan che lo aveva apostrofato malamente, utilizzando il luogo comune che indica gli ebrei come avari, chiedendogli contributi, visto che non ne aveva mai versati a suo favore. La terza testimonianza importate consegnata ieri ai giudici del Riesame è quella del medico di origine siciliana che da anni vive nel Padovano, il quale ha svelato finalmente quanto è costata villa Rodella a Galan. Il professionista l'aveva acquistata durante un'asta fallimentare, l'ennesima dopo che altre erano andate deserte, e l'ex ministro dell'Agricoltura e dei Beni culturali ha sempre sostenuto di averla pagata poco meno di un milione di euro. Ora il medico di origine siciliana riferisce di aver incassato ben un milione e ottocentomila euro complessivamente, di cui 700 mila dichiarate e, dunque, in bianco, un altro milione e 100 mila in contanti e in nero dalle mani di Galan. Anche questa circostanza non ha a che fare direttamente con le tangenti per il Mose, ma dimostra che l'indagato aveva grande disponibilità di danaro liquido che, presumibilmente, gli veniva da conti correnti in banche estere. Soldi che nel suo memoriale nega di aver mai posseduto, ma che Mazzacurati sostiene di avergli consegnato in contanti. I rappresentanti dell'accusa hanno depositato anche un'intercettazione di un colloquio tra Giovanni Mazzacurati e la sua segretaria, durante la quale l'anziano ingegnere spiega alla collaboratrice più stretta che il Consorzio dovrà sponsorizzare un convegno organizzato dalla Banca degli occhi di Mestre, di cui Mazzacurati allora era presidente, organizzato da Alessandro Galan, fratello di Giancarlo e primario oculista all'ospedale Sant'Antonio di Padova, lo stesso nosocomio dove l'indagato si è fatto visitare per la frattura al malleolo prima di finire a Este. Mazzacurati spiega alla segretaria che il Consorzio, sostenuto da finanziamenti pubblici, avrebbe dovuto impegnare 20 mila euro per il convegno medico, il doppio dei 10 mila consegnato l'anno precedente per la stessa iniziativa. E, rimanendo su Mazzacurati, i pubblici ministeri hanno depositato anche uno stralcio di un suo interrogatorio, durante il quale racconta di aver partecipato alla festa di nozze di Galan e di aver regalato un servizio di bicchieri di Murano, spendendo 12 mila 500 euro, naturalmente non di tasca sua, ma provenienti dai fondi del Consorzio Venezia Nuova. Infine, ci sono le affermazione di Stefano Tomarelli, imprenditore romano e uno degli amministratori dell'impresa «Condotte d'acqua». Ai pubblici ministeri ha riferito che durante un colloquio con Mazzacurati, che riguardava i cassoni da affondare alle bocche di porto della laguna per il Mose, l'ingegnere gli avrebbe riferito di aver consegnato una notevole somma di danaro a Galan poco prima.