Il sistema Galan crolla Ora la Corte dei Conti è su Veneto Sviluppo
di Renzo Mazzaro wVENEZIA Verrebbe da fare il tifo per Giancarlo Galan, adesso che è nudo, se l'arroganza, le furbate e la pretesa d'impunità che continua a sfoggiare non gli alienassero anche la simpatia di chi abitualmente parteggia per il più debole. L'ex presidente riesce ad essere insopportabile anche nell'ora della disgrazia, che è tutto dire. Ma su un punto ha ragione: ormai lo trattano da appestato. Non le istituzioni come vaneggia lui, che invece nei suoi confronti vanno avanti con il bilancino, ma i suoi ex amici. Nel mondo di cortigiani e approfittatori della politica che lo circondava, non meraviglia la corsa a mollare il potente caduto. Stupisce piuttosto, guardando manovre in atto, che qualcuno nel centrodestra veneto pensi di poter mettere le mani sul «lascito Galan» senza che gli si chieda dov'era, cosa faceva e su cosa lucrava negli ultimi 15 anni. Sulla scia aperta dalla magistratura è scontato il redde rationem tra i politici. Come al solito arrivano a disastro combinato, ma il vero processo dovrebbe essere quello celebrato da loro: accertare non i reati ma le collusioni amministrative tra tutti quelli che in questi anni sapevano ma avevano il tornaconto per tacere. Non c'è stato solo il Mose. Dove mettiamo per esempio Veneto Sviluppo? Beninteso, siamo su livelli diversi, non di reati ma di correttezza dell'amministrazione. Anche qui è la magistratura che sta aprendo la strada con un'azione di responsabilità avviata dalla Corte dei Conti nei confronti degli amministratori in carica tra il 2006 e il 2009. All'epoca il cda era presieduto dall'imprenditrice vicentina Irene Gemmo. Giancarlo Galan la insedia nel giugno 2006 parlando di «prestigiosi obiettivi da raggiungere». Per farlo la Gemmo assolda di sua iniziativa la società Bain & Company, affidando senza gara (decisione contestata) la redazione del nuovo piano strategico per la finanziaria regionale. L'incarico è affidato per 25.000 euro più Iva, seguiti da altri 245.000 più Iva, più altri 195.000 e 65.000 sempre più Iva, il tutto maggiorato di un 10 per cento di spese forfettarie. L'anno dopo altri 90.000 euro più Iva e spese forfettarie, in varie tranche, per sviluppare aspetti particolari del piano. Una frantumazione artificiosa del contratto in cui si finiva per non capire bene cosa veniva pagato. Per questo Irene trova l'opposizione di due componenti del cda di allora, Franco Andreetta e Fabrizio Stella, che fa mettere a verbale. Per gli altri tutto bene: erano Andrea Gerolimetto, Andrea Marchiotto, Roberto Bissoli, Dino Cavinato, Antonino Ziglio, Alfredo Checchetto, Riccardo Lupi, Norberto Cursi, Franco Dall'Armellina e Fiorenzo Sbabo. Per inciso Bissoli è l'assessore regionale all'agricoltura e segretario provinciale della Dc veronese incappato nel 1992 in Tangentopoli: riceve una bustarella da 150 milioni di lire per una concessione urbanistica da Giovanni Pavesi (anch'egli all'epoca arrestato) e ne gira una parte all'onorevole Angelo Cresco, socialista. Pavesi è oggi direttore generale dell'Usl 17 Bassa Padovana, quella del ricovero ospedaliero di Galan. Anche Angelo Cresco si è ben «riposizionato»: oggi è presidente del consorzio di emanazione pubblica che gestisce il depuratore del Garda e che bussa a quattrini per rifare la condotta sommersa. Un lavoretto da 200 milioni di euro. Non parliamo di «Rambo» Bissoli, che non è mai uscito di scena: oggi presiede la Serit, società che si occupa di rifiuti per conto dei comuni veronesi (interamente mano pubblica). Alle spalle di queste gestioni si contano i morti. L'attuale collegio sindacale di Veneto Sviluppo ha ricostruito nelle ultime settimane, su richiesta della giunta Zaia a sua volta pressata dalla Corte dei Conti, la vicenda Bain e la partecipazione a Soveda, altro episodio della gestione Gemmo. Soveda era un'azienda padovana di pane surgelato, che ha goduto di fondi europei del programma Retex, intermediati da Veneto Sviluppo. È fallita lasciando un buco di 900.000 euro, interamente a carico della Finanziaria regionale. Siamo nel gennaio 2008: a insaputa del cda e senza tener conto dell'azione giudiziaria in corso per rientrare dell'intero credito, Irene Gemmo propone a Soveda srl una transazione a 550.000 euro. I debitori si fanno forti dell'offerta e un anno dopo le parti concordano a 630.000 euro. Non contenta di aver perso 300.000 euro Veneto Sviluppo si accolla pure i 50.000 dell'arbitrato, che spettavano a Soveda. Ce n'è abbastanza, scrivono il 2 luglio i sindaci nella relazione, per imputare alla gestione Gemmo «l'esistenza di un danno erariale, dovuto principalmente alla violazione del principio di corretta amministrazione». Ai soci di oggi valutare l'opportunità di un'azione risarcitoria nei confronti dei predecessori. Su questa linea è anche un memorandum, chiesto per non sbagliare allo studio legale Gianni Origoni Grippo Cappelli e partners: pollice verso su entrambe le vicende, con la precisazione che per Bain il danno patrimoniale è contenuto in 30.000 euro. Il Cda di Veneto Sviluppo doveva riunirsi il 18 luglio ma la seduta è stata rinviata. I consiglieri sono in forte imbarazzo, si augurano che l'azione risarcitoria sia prescritta. Ma siamo solo all'inizio: come faranno se alla Corte dei Conti verrà lo sghiribizzo di controllare la situazione di Cis, società partecipata da Veneto Sviluppo con 7 milioni di euro. Vicenda molto più recente: la partecipazione è stata azzerata, dove sono finiti i soldi?