Matteo Orfini è il presidente del partito

di Nicola Corda wROMA Da segretario della sezione Mazzini di Roma a presidente nazionale di un Partito Democratico dalle percentuali pesanti. Matteo Orfini incassa ben 690 voti a favore e nessun contrario, 32 gli astenuti, i bersaniani che spingevano per Nicola Zingaretti. Ma il nome del sostituto di Cuperlo, Renzi lo aveva in mente da molto tempo, anche quando il fondatore della corrente dei "giovani turchi" negava di essere candidato alla guida dell'assemblea nazionale. Ma ieri, appena è arrivata la proposta del segretario, aveva già pronto il messaggio da lanciare al nuovo Pd. Partito che, nonostante quel quasi 41 per cento che campeggia sul fondale della sala dell'Hotel Ergife, ha bisogno di sentirsi comunità e sfuggire ancora una volta alla "malattia delle divisioni". Perciò Orfini affronta subito il tema del giorno - la vicenda dei senatori ribelli - con l'obiettivo di recuperare lo strappo e far rientrare tutto nella normale dialettica. «Chiederò di incontrare i senatori che si sono autosospesi, per aiutare a superare l'impasse nella quale ci siamo ritrovati. Le decisioni della maggioranza vanno rispettate non perché lo dice il segretario ma per rispetto della nostra comunità». Democrazia e non centralismo democratico ci tiene a precisare, in «un partito che è la casa di tutti». Si deve trovare il modo di superare le difficoltà e il disagio che viene avvertito, «perché fare le riforme è un'esigenza». L'area fondata dal "giovane turco", ha seguito Renzi nella sfida del ricambio generazionale. Una scelta che l'ha progressivamente allontanato da Massimo D'Alema considerato da sempre il suo padre politico, da quando Matteo Orfini (che traguarderà i quarant'anni in agosto), diventò da giovanissimo segretario della sezione Mazzini dei Ds a Roma. Fin dalle prime esperienze nella Sinistra giovanile, il ragazzo del liceo Mamiani, aveva la stoffa giusta e D'Alema lo volle con sé, alla fondazione Italiani Europei e come suo collaboratore. «Grande soddisfazione per la sua elezione» si legge nel comunicato ufficiale del think thank dalemiano, anche se per il "leader maximo" «sarebbe stata preferibile una soluzione più condivisa» senza neppure quei 32 astenuti. Naturalmente arrivano le congratulazioni di tutti, renziani e non, e Orfini, calmo e riflessivo ma pronto a pungere quando serve, non smette di dire che «il congresso è finito il giorno dopo l'elezione di Renzi». Il risultato delle Europee premia la scelta dell'unità e ora «questo patrimonio non deve essere sprecato». Le decisioni sono prese e chissà se, da milanista accanito, ha reagito con la stessa pacatezza al licenziamento di Seedorf. Ma non si può avere tutto e ora il ruolo da presidente del "partito di tutti", lo terrà ancora più lontano dalla carriera di "archeologo mancato". ©RIPRODUZIONE RISERVATA