Si cerca un terzo corpo, il cugino di Dritan
Potrebbe aver colpito una terza volta la mano omicida del fornaio albanese Dritan Demiraj, 29 anni (foto). Due i punti fermi per l'accusa: ha accoltellato a morte l'ex compagna Lidia Nusdorfi alla stazione di Mozzate (Como), l'1 marzo, e il giorno prima aveva strangolato e seppellito in una cava dismessa nel Riminese Silvio Mannina, nuovo compagno di Lidia, facendo poi trovare il suo corpo appena due giorni fa agli investigatori in un acquitrino. Ora gli inquirenti cercano un cugino di Dritan, che non si trova: per questo la Procura di Rimini ha deciso di preparare una rogatoria internazionale con l'Albania, per scoprire se è ancora vivo. Demiraj, interrogato dagli investigatori, aveva detto di aver già tentato di uccidere il cugino la scorsa estate in Albania, dopo che Lidia, la donna con cui viveva a Rimini e con la quale aveva un figlio, aveva avuto una relazione con il parente durante le vacanze albanesi. Uno scandalo per la famiglia, che aveva spinto Lidia a tornare subito in Italia. Dritan era stato arrestato per quell'episodio, poi rilasciato e, anche se gli era stato ritirato il passaporto, dalla Grecia era rientrato a Rimini. Si era detto disposto a perdonare Lidia, ma per lei la storia era arrivata al capolinea, era spaventata, fino al punto di prendere le sue cose e andarsene, lasciando a casa anche i due figli (uno ha un altro padre). Così a fine dicembre Dritan - che era arrivato a chiamare al telefono la sua ex fino a trenta volte al giorno - era tornato una seconda volta in Albania. Silvio Mannina, che viveva in una struttura per senzatetto a Bologna, aveva scritto su Facebook, alla voce "relazione", di essere fidanzato con Lidia, sebbene la loro storia in realtà fosse finita da poco. Così, inconsapevolmente, si era firmato la condanna a morte. PESCARA Lite in auto tra due conviventi davanti alla figlia di cinque anni, poi la follia dell'uomo che sparge benzina addosso a tutti e dà fuoco all'abitacolo, bloccando il tentativo estremo della donna di strappare la bimba alle fiamme: una storia di maltrattamenti finita in tragedia a Pescara, con padre e figlia morti carbonizzati, e la madre ricoverata in gravi condizioni al Centro Grandi Ustionati dell'ospedale S. Eugenio di Roma. Protagonisti della vicenda un uomo di 48 anni, Gianfranco Di Zio, residente a Cepagatti in provincia di Pescara; la convivente di 44 anni, Ena Pietrangelo, anche lei di Cepagatti; e la figlia di 5 anni, Neyda, nata dalla loro storia cominciata nel 2008. I tre, residenti in un comune dell'entroterra pescarese, vivevano insieme alle altre tre figlie della donna, nate da un precedente matrimonio. Secondo gli investigatori, coordinati dal dirigente della Squadra Mobile di Pescara, Pierfrancesco Muriana, la donna aveva denunciato il convivente nel 2013 per maltrattamenti, sostenendo che l'uomo era violento e non voleva che la figlia avesse rapporti con le sorellastre. Lo scorso maggio il gip del tribunale aveva disposto l'allontanamento dell'uomo dal comune domicilio. A ottobre il convivente era stato condannato dal tribunale ad un anno di reclusione per maltrattamenti. Lo stesso tribunale gli aveva anche imposto di poter vedere la figlia soltanto una volta alla settimana, presso la scuola materna del paese e in presenza degli assistenti sociali comunali. L'uomo però aveva più volte violato le disposizioni e nei suoi confronti era stato emesso di recente anche un allontanamento coattivo dall'abitazione dopo che la donna aveva rivelato di essere stata seguita. Nel pomeriggio di ieri l'epilogo: in base alla ricostruzione della polizia, sostenuta anche dalle poche parole riferite dalla donna ai soccorritori, i tre si sono incontrati in un posto per poi spostarsi a bordo di una Peugeot di un familiare della donna in una zona isolata nel quartiere Rancitelli di Pescara, probabilmente per discutere di alcune questioni personali, anche se non è da escludere che l'uomo abbia premeditato tutto, organizzando una trappola. Infatti all'improvviso ha tirato fuori una bottiglia contenente benzina, l'ha spruzzata addosso a tutti e ha dato fuoco all'abitacolo, trattenendo la figlia sul sedile posteriore, nonostante l'estremo tentativo della mamma di portarla via; la donna ha riportato ustioni di secondo grado sul 40% del corpo e di terzo grado sul 5% del corpo. Il sindaco di Cepagatti, Sirena Rapattoni, si è detta «inorridita e profondamente colpita dall'accaduto. Non ci sono ragioni che possano giustificare tanta violenza e questo è il modo più atroce per colpire una donna: farla assistere alla morte della sua bambina». In via Lago di Chiusi, alla periferia di Pescara, la scientifica ha lavorato fino a notte fonda. Si attende ora di sentire la donna sopravvissuta per ricostruire come si sono svolti i fatti.