Mosca, il Quinto Concerto è un girotondo al pianoforte
di Massimo Contiero wVENEZIA Dopo essere uscito molto soddisfatto dalla prova con l'orchestra della Fenice guidata da Mario Angius, con grande energia, Luca Mosca ha riproposto agli Amici del Conservatorio tutta la parte solistica del suo Quinto Concerto per pianoforte, che, dopo essere stato creato a Torino con l'orchestra Rai, si ascolterà alla Fenice questa sera nell'ambito della stagione sinfonica del Teatro, con l'autore impegnato nel ruolo di solista. Pochi compositori sono arrivati a un numero di concerti così ragguardevole, soprattutto in tempi recenti. «Se è per questo, ho già scritto anche un Sesto Concerto e sto progettando il Settimo per il 2015. È una forma che amo molto. È un amore che deriva dalla bellezza dei concerti di Mozart». Come ha usato il pianoforte? «È uno strumento con una letteratura sterminata. Certo è molto legato al romanticismo, ma anche nel XX secolo sono state scritte pagine importanti. Tra i contributi più recenti, gli Studi di Ligeti, soprattutto per le loro poliritmie, sono quelli cui guardo di più. La scrittura orchestrale nasce come riverbero del materiale esposto dal pianoforte, con la celesta affiancata a prolungarne la tastiera, e le tastiere delle percussioni anch'esse con un gran ruolo. Tra i fiati ho usato soprattutto gli ottoni, mentre gli archi sono un po' più in disparte». Il sottotitolo che ha dato è suggestivo: undici frammenti in girotondo. «Non volevo usare una struttura tradizionale, ma dar vita appunto a qualcosa di frammentato. Ernesto Rubin de Cervin, caro amico scomparso da non molto, mi diede il suggerimento di pensare a Girotondo di Schnitzler, dove i vari episodi si incatenano tra loro. Facendo così però avevo scritto troppo. Con gli anni il mio orecchio mi ha insegnato a sfrondare. Così la durata è divenuta accettabile, 22 minuti circa. C'è una sorta di circolarità, si apre e si chiude nello stesso modo, con il ritorno continuo di alcune idee». Il pianista sarà lei stesso. «Sì, perché ho scritto qualcosa di veramente difficile e acrobatico, che per ora è solo sotto le mie dita. Ho puntato a una sorta di compresenza di tutti i registri dello strumento, come se a suonarlo fossero più di due mani». In giugno si vedrà in Conservatorio la sua nuova opera. «Pilar Garcia mi ha scritto un libretto tratto dalla letteratura cinese, "Il Gioco del vento della luna". È un omaggio ai tanti ragazzi che vengono a studiare musica dalla Cina, ma l'opera è dedicata a tutti gli allievi del Benedetto Marcello. Ho lavorato avendo prima scelto gli interpreti e ho calibrato su loro le parti vocali e strumentali. Abbiamo già iniziato a provare: sono bravissimi».