Sollecito fermato al confine con l'Austria
di Natalia Andreani wROMA Un blitz da Firenze a Treviso per raggiungere la fidanzata. Poi la corsa in automobile fino in Austria, dove ha saputo che i giudici lo avevano condannato, il precipitoso rientro in Italia, la tappa per dormire in un hotel fra Tarvisio e Udine, dove all'alba è stato raggiunto dalla polizia che gli ha notificato il divieto di espatrio ritirandogli il passaporto. Non deve essere stato facile, per Raffaele Sollecito, decidere cosa fare davanti alla sentenza della Corte d'Appello di Firenze che giovedì sera lo ha ritenuto colpevole, assieme ad Amanda Knox, dell'omicidio di Meredith Kercher (25 anni di carcere per lui, 28 anni e 6 mesi per lei, tornata però da tempo al sicuro nella sua casa nei sobborghi di Seattle). Lo studente pugliese che giovedì mattina era apparso in aula per assistere alla chiusura del processo a suo carico aveva detto pubblicamente che non sarebbe stato presente alla lettura delle sentenza per l'eccessiva tensione. Ma nessuno immaginava che qualche ora più tardi, mentre i giudici erano chiusi in una camera di Consiglio cominciata alle dieci del mattino e finita alle dieci di sera, l'imputato avrebbe lasciato l'Italia, salvo poi rientrare. Invece le cose sembrano essere andate proprio così. Sollecito ha raggiunto la sua nuova ragazza, Greta, nel paese del trevigiano dove abita. E con l'auto del padre di lei sono partiti. «Abbiamo fatto un giro in Austria. Poi sono rientrato. Ero stanco e affamato e mi sono fermato» ha detto il giovane agli agenti che alle prime luci di ieri lo hanno rintracciato e fermato all'hotel Carnia di Venzone, a una quarantina di chilometri dal confine. Sollecito è stato portato in questura a Udine dove è stato a lungo sentito. I due ragazzi hanno dato versioni coincidenti e poco dopo le due del pomeriggio c'è stato il rilascio. L'avvocato Luca Maori ha poi spiegato che era intenzione di Raffaele raggiungere la questura di Treviso per riconsegnare il passaporto volontariamente, ma che una fitta nevicata lo ha costretto a fermarsi. Comunque sia il caso è chiuso. Lo ha spiegato lo stesso presidente della Corte d'Assise d'appello, Alessandro Nencini, che aveva disposto le misure cautelari, escludendo nuovi provvedimenti. «Lui sta in Italia e l'ordinanza è stata eseguita. La questione si chiude qua. Non c'è motivo di immaginare altro», ha commentato bacchettando le troppe, e talvolta fuorvianti, pressioni mediatiche che hanno gravato su questo caso. «I processi si fanno nelle aule, non sui giornali o in televisione», ha detto. Rispondendo invece alle domande dei giornalisti sulla durata della camera di Consiglio, Nencini ha ricordato la mole degli atti che era doveroso valutare: 64 faldoni di carte, rapporti e testimonianze, più 36 perizie. «Ci siamo presi il tempo necessario - ha dichiarato - ma siamo usciti con la coscienza pulita». Quanto al futuro, Sollecito giura di essere pronto a combattere fino alla fine «per vedere riconosciuta la mia totale innocenza», ha ripetuto ieri nel corso delle numerose interviste rilasciate anche ai media americani. Ancora una volta, la stessa linea di Amanda che dice di sentirsi «come finita sotto a un treno» ma è pronta a ricorrere. Anche, in caso di richiesta di estradizione, alla corte suprema Usa. ©RIPRODUZIONE RISERVATA