Prosecco: il pericolo non è la Croazia ma il vino alla spina

di Roberta Paolini wVENEZIA A Londra, New York, come a Tokyo si entra in locali super chic si ordina un prosecco e spesso viene servito alla spina. Insomma lo chiamano prosecco, ma non lo è. Ecco perché la battaglia per arginare i truffatori delle bollicine italiane più celebri al mondo è molto più insidiosa di quella con il croato Proseck, per cui ancora ieri il governatore Zaia chiedeva a gran voce che per entrare nella Ue «La Croazia rinunci alla denominazione del suo Prosek». La pratica del prosecco alla spina è molto in voga (e per di più illegale) nelle capitali internazionali, dove si serve un vino bianco frizzate spacciandolo per qualcosa che non è. Un vino cioè che ha consorzi di tutela Doc e Docg. La denuncia arriva da Giunluca Bisol direttore generale dell'azienda vinicola che porta il suo cognome, 15 milioni di euro di fatturato, realizzato in 61 paesi al mondo. Bisol si è fatto elaborare le stime di questa ondata di bianco venduto nei locali lussuosi delle maggiori metropoli mondiali. «Abbiamo stimato un mancato fatturato dalla vendita di questo falso prosecco dell'ordine del 30% a livello di sistema. Non è solo una perdita di fatturato per noi, se non sarà bloccato sul nascere è un fenomeno che rischia di avere ripercussioni anche a livello di occupazione». La battaglia sul passito croato è secondo Bisol già vinta, «L'Europa tutela il nome geografico, il prosecco non è più solo un vitigno ma è una denominazione di origine controllata, ha un'indicazione geografica proprio come lo champagne. Quindi non dovremmo avere problemi». Non c'è dunque il rischio che si ripeta la nota vicenda del tocai friulano costretto a cambiare nome per l'assonanza con il vino ungherese tokaji. «Qui si sta perdendo di vista il vero problema» torna ad attaccare Bisol «milioni di litri venduti in giro per il mondo spacciati come prosecco. È un fenomeno dilagante che dobbiamo fermare, che ci porta via quasi un terzo della vendita che potremmo realizzare». La tendenza descritta da Bisol è più pericolosa di quanto sembri. «E non solo per il danno che può fare nell'immediato, togliendo posti di lavoro derivanti dalla mancata vendita, ma anche perché questi vini frizzanti minano la nostra reputazione. Quella del Prosecco» dice ancora Bisol «è la più grande doc italiana con una produzione di 270 milioni di bottiglie. Ed è una produzione ad alta intensità di lavoro, i posti che perdiamo da questa tendenza è occupazione che perdiamo come Italia». L'operazione di ricognizione nelle principali capitali è stata fatta da quattro export manager, racconta ancora l'imprenditore, «negli ultimi due anni si è registrata una crescita esponenziale, dei locali che hanno questi vini frizzanti alla spina spacciati per prosecco. Abbiamo assunto informazioni dei consumi medi e le cifre sono spaventose. È un fenomeno allarmante, invisibile come danno, ma se andiamo a misurarlo i numeri sono incredibili». Se non verrà messo uno stop sarà come aver rinunciato a circa 10mila posti di lavoro, secondo Bisol. «Il prosecco dà occupazione tra diretti e indotto a circa 20mila persone. Il fatturato che ci viene tolto dalla vendita di falso prosecco potrebbe portare lavoro in più all'intera filiera». In tutto l'area del Prosecco DOC (la zona di produzione veneta include 5 province del Veneto (Treviso, Venezia, Vicenza, Padova, Belluno e 4 province nel Friuli Venezia Giulia) conta circa 5mila viticoltori, 350 aziende spumantistiche, per un fatturato aggregato tra vendita di uva e vino attorno a 1,5 miliardi di euro. Un export per il Prosecco Doc che va oltre il 50% e del 35% per il Docg. «Ma se non interrompiamo questa pratica il danno sarà irreparabile. Da qui ai prossimi dieci anni i nostri numeri raddoppieranno, e con loro raddoppierà anche il danno». «L'unico modo per tutelarci è costituire una task force internazionale» conclude Bisol «che faccia controlli a tappeto nelle principali 10 capitali mondiali. Bastano queste, perché fanno tendenza e da qui poi influenzano la domanda».