Il grido della madre «Non credo più a questa giustizia»
SPINEA Come era prevedibile, la Corte d'appello di Venezia presieduta dal giudice Angelo Risi ha respinto gli appelli della Procura della Repubblica, che aveva chiesto una pena più pesante, e quello della difesa, che puntava a diminuire ulteriormente la condanna, e ha confermato la sentenza che il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale lagunare Roberta Marchiori aveva letto il 19 gennaio dello scorso anno, condannando il 49enne professore di chimica Andrea Donaglio a 16 anni di reclusione per l'omicidio dell'ex fidanzata Roberta Vanin, colpita da 63 coltellate e morta a 44 anni nel suo negozio di Spinea. Anche i giudici della Corte hanno ritenuto congrua e soprattutto rispondente alle norme del codice quella condanna. Del resto il magistrato di primo grado era partita dal massimo previsto per l'omicidio volontario aggravato dai futili motivo (in questo caso la gelosia), ma l'aggravante è stata praticamente annullata dalle attenuanti generiche, che gli esperti sostengono non si negano a nessuno e in particolare a chi è incensurato come lo era Donaglio. Quindi, dai 30 anni si salta ai 24 anni, pena massima per un omicidio contestato senza alcuna aggravante: nel caso di Donaglio era d'obbligo lo sconto di un terzo perché ha scelto il rito abbreviato, che fa risparmiare tempo ed energie allo Stato, e così si arriva dritto dritto ai 16 anni. «Non credo più a questa giustizia. Mi chiedono se 16 anni sono pochi. Io credo che diminuiranno ancora e che fra 10 lui sarà fuori e allora spero di non esserci più io». A parlare dopo la sentenza di secondo grado è Gina Casarin, la mamma di Roberta, che già dopo la prima condanna aveva detto di aver perso ogni fiducia nella giustizia. Alla lettura della sentenza d'appello Gina non è riuscita a controllare il suo dolore di madre ferita due volte e ha urlato "Assassino" contro Andrea Donaglio, beccandosi pure il richiamo del giudice. Oggi trova la forza di chiedere perfino scusa per quella reazione così naturale: «Non volevo, hanno fatto tutti il loro lavoro e sono state persone meravigliose. È che questa non è giustizia. Io vedo Roberta di fronte a me ogni giorno e mi manca. Lui invece tra pochi anni sarà fuori e io non voglio incrociare la sua strada. Sono anziana, forse non ci sarò più io e a questo punto mi auguro che sia così». Parla con la stessa voce affranta di tre anni fa Gina, come se non avesse mai smesso di piangere da quel 6 luglio 2010. «16 anni cosa sono?», afferma, «prenderà la condizionale, poi gli riconosceranno la buona condotta. Tra 10 anni sarà libero, mentre Roberta non tornerà più. La verità è che non credo più nella giustizia da tempo: non mi aspettavo una sentenza diversa da questa, temevo anzi che potessero togliergli ancora una parte della pena. Non si può più far niente ormai, va così». A scatenare la furia omicida di Donaglio, il 6 luglio 2010, era stata una telefonata di Roberta alla madre di lui in cui diceva di non volerlo vedere mai più né nel negozio né fuori. Lo psichiatra Andrea Schenardi, che lo aveva esaminato, aveva stabilito che l'imputato vedeva Roberta come un suo oggetto personale e non sopportava che iniziasse una nuova relazione. ©RIPRODUZIONE RISERVATA