Elsa Stagnaro: cercate l'armonia con mente libera e danza spontanea

Liberare il corpo dalla mente per ritrovare l'armonia originaria. Così si potrebbe sintetizzare la tecnica della 'danzaterapia": più che un ballo, un modo di concepire il mondo e di vivere. L'ideatrice, l'argentina Elsa Luisa Stagnaro, ha narrato e racchiuso, quella che a tutti gli effetti si può considerare una dottrina, in un libro intitolato Dalla danza al corpo. La potenza e il desiderio: i ballerini dionisiaci (Mimesis, 249 pagine, 20 euro) che mercoledì alle 18, in sala Aiace, durante il ciclo degli 'Incontri con l'autore" organizzato dal Comune e dalla Biblioteca Joppi, sarà presentato grazie anche agli interventi, oltre che dell'autrice, dello psicologo Roberto Botti e di Luca Taddio, docente di estetica all'università degli studi di Udine.
Iniziamo dal principio: cos'è la 'danzaterapia"?
«Attraverso il movimento si possono esprimere le emozioni e l'emozione altro non è che la fuoriuscita di me, della mia sensibilità. Ma questa teoria, nata 40 anni fa, è frutto di una ricerca personale».
Si spieghi meglio...
«Dovevo guarire me stessa. Sin da quando avevo dodici anni soffrivo di lancinanti dolori alla schiena che si presentavano sotto forma di attacchi che mi costringevano a letto per giorni. Dopo anni di cure e visite, la soluzione prospettatami era un intervento alla colonna vertebrale per alleggerire la pressione sui nervi, ma ciò avrebbe comportato, oltre all'operazione, la riabilitazione e il busto ortopedico. Ho deciso di non operarmi perché nelle parole del medico ho riconosciuto non una malattia, ma i sintomi di un disagio psichico: sapevo di essermi piegata a una vita non giusta per me, che mi costringeva ad abbassare la testa e obbedire. Ho scelto quindi di essere fedele a me stessa».
E come ci è riuscita?
«Dentro me, fin da piccola, avevo un enorme desiderio di danzare, ma l'avevo sempre represso. Quando me ne resi conto, avevo già 36 anni e così pensai che andare in una scuola di ballo non fosse adatto. Poi - come dire? - capivo che quella non era la mia strada. Sapevo di dover cambiare, ma non quale direzione avrei dovuto seguire. L'ho compreso solo durante il cammino. Ho iniziato con piccole misure di cambiamento: innanzitutto mettendomi in contatto con la mia sensibilità e anche con la sessualità, entrambe bloccatissime. Questo non vuol dire andare a letto con tutti, ma mettersi in contatto con la propria natura sensuale. Ho sperimentato diverse tecniche di 'danzaterapia" in voga in Argentina, ma nessuna mi appagava».
E quindi?
«Mi sono messa a studiare per conto mio, partendo proprio dai sintomi che mi affliggevano. Ho studiato anatomia e fisiologia, creando piccoli movimenti semplici che permettessero al corpo di muoversi con continuità e senza forzature che esprimessero emotivamente la mia situazione. L'asse del lavoro non era fondato sulla muscolatura, ma sulle giunture che, mosse in un certo ordine e modo, possono aiutare a far scorrere di nuovo il flusso nervoso bloccato, il vero problema che è alla base dei disagi dell'anima. Quindi, non punto la mia teoria sui muscoli, la cui contrazione è un sintomo, ma sullo scheletro perché il pensiero deve andare al corpo e non il corpo al pensiero, come vorrebbe la cultura occidentale. Il corpo è psiche e non mente, deve educare il pensiero, mentre io ero educata da una abitudine, dalla società, non dalle mie emozioni. Il metodo della 'danzaterapia", dunque, si fonda su esercizi di flusso nervoso che si fanno appoggiati a terra, perché il peso del corpo è molto importante: libera dal controllo che tiene sollevato il corpo non permettendogli di utilizzare la legge di gravità. È un lavoro molto preciso e metodico: durante ogni seduta la persona lavora per ricomporre il flusso fino ad arrivare alla danza libera, in altre parole muovere il proprio corpo assecondando il flusso nervoso che, quando scorre, diventa un'ispirazione constante producendo un ponte fra conscio e inconscio che ci mette in contatto con le nostre aspirazioni e le nostre volontà».
Fondamentale, dunque, per la 'danzaterapia" è lo scorrere, libero, del flusso nervoso, ma che cos'è?
«È la psiche, è l'anima, è il tutto vitale. Ma parte integrante della teoria è anche il ritmo. Noi, educati dalla cultura occidentale, l'abbiamo perso. Invece è fondamentale il suo recupero perché è l'ordine su cui si basa la vita. Esattamente come fa la natura con le stagioni. Invece noi occidentali abbiamo un ordine fondato su sovrastrutture, che va contro l'ordine innato. Il ritmo originario è vivo nella scuola africana, che è molto saggia nell'accostare il movimento al ritmo dei tamburi. Gli africani sanno inseguire le modificazioni del corpo con il suono. Parte integrante del libro, infatti, è un cd registrato dal vivo durante un seminario:
L'arte del duo di Ady Thioune e Hugo Samek».
Questa teoria, scardina il consueto concetto di danza fondata su regole ferree, basti pensare al ballo classico...
«Nessuno affronta il tema della danza come me. Non sono le regole a insegnare a danzare, ma è la soggettività dell'essere a esprimersi quando ci si muove. Il flusso nervoso connette con l'istintività alla ricerca dell'equilibrio fra conscio e inconscio. Altrimenti, nella disciplina classica, è la coscienza che ordina di alzare la gamba, saltare a una determinata altezza e via di seguito. In questo modo il flusso nervoso finisce per essere ancora più ingabbiato. Ma non mi voglio porre in antitesi con nessuno, probabilmente è solo una questione di termini. Propongo solo una teoria in cui credo molto perché io per prima ne sono stata guarita. Ci sono anche molti studi che suffragano la mia tesi, come spiego nel libro. Inoltre, al Dipartimento di salute mentale di Udine, ho condotto per sette anni un laboratorio giornaliero in cui protagonisti erano gli ospiti dell'ospedale psichiatrico. Lo scopo era di aiutarli a ritrovare l'equilibrio con il loro flusso nervoso, che in quei momenti loro subivano. Infatti, molte delle danze che ancora oggi presento durante gli stage sono state ispirate proprio dalla ricerca dell'ordine naturale e primordiale dei pazienti di Sant'Osvaldo».
Michela Zanutto
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