Carlo Calenda
Carlo Calenda si sente già nel terzo polo, ma nega con tutte le sue forze di essere pronto ad allearsi con Matteo Renzi. «Ci stiamo sentendo, stiamo discutendo - spiega - ma, visto com'è andata con il Pd, finché non sono depositati i simboli non mi sbilancio». Nell'intervista con il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, per la trasmissione "30 minuti al Massimo", il leader di Azione torna sulla rottura con Enrico Letta, che «può sostenere che io abbia sbagliato, ma non può dire che non lo avessi avvisato: la scelta l'ha fatta lui». Non vuole scommettere sul risultato elettorale, pur credendo di superare il 10%, ma spiega di puntare a «un'operazione simile a quella di Roma, dove ci davano al 6% e abbiamo preso il 20%». Poi lancia la sfida alla destra, che «con il terzo polo in campo non vincerà, Meloni va fermata al proporzionale al Senato, è quella la battaglia». Quindi un terzo polo ci sarà? «Io spero che nasca, ci sono tutte le premesse per farlo, perché con Italia Viva siamo vicini dal punto di vista programmatico. Poi c'è da accordarsi su come organizzare la campagna elettorale, su chi parlerà per la coalizione, oltre ovviamente ai collegi. Stiamo lavorando, ma è pur sempre un incontro tra forze politiche che hanno fatto scelte diverse nel recente passato: loro sono stati al governo con il Movimento 5 stelle, noi no». Paradossale che a costruire il centro, sinonimo di dialogo e moderazione, siano le due figure più rissose della politica italiana, non trova? «Questa etichetta me l'avete tagliata addosso, ma non mi ci riconosco per niente. Voi giornalisti avete sempre chiesto ai politici di parlare in modo non criptico, ma diretto. Io sono netto, non rissoso. Del resto, ho fatto l'ambasciatore e il ministro, prima ancora il manager: ho gestito tavoli di crisi, riunioni operative, dove devi dire le cose chiare. Questo è il mio credo e capisco che è difficile, perché la politica è esattamente l'opposto». Quindi, con Renzi potete convivere? «Guardi, quando eravamo insieme al governo litigavamo continuamente, con lui poteva funzionare solo attraverso un confronto tosto e, infatti, abbiamo fatto cose buone. Ma quello che conta ora sono le scelte e i progetti politici, non il carattere. E chi fa il front runner, no? «La leadership è una delle questioni che dobbiamo definire con chiarezza, ma la comunicheremo solo se e quando chiuderemo l'accordo. Potrebbe anche essere una figura terza, magari una donna». Insomma, lei sta sereno...«Qua sereno non ci può stare nessuno, ma si può lavorare bene se è chiaro chi fa il leader, come era chiaro quando Renzi stava a palazzo Chigi». Gira molto la foto di lei che bacia Letta, ma chi è il traditore? Lei o il segretario del Pd? «Non uso questo termine, Enrico è una persona perbene e un amico, può legittimamente dire che ho sbagliato, ma non può dire che non lo avessi avvisato. A lui, come a Bonino e Della Vedova, avevo spiegato che non me la sentivo di andare avanti in quelle condizioni. Letta ha pensato di tenere dentro capra e cavoli, credendo che +Europa mi avrebbe tenuto buono e che io non avrei avuto il coraggio di rischiare sulla questione delle firme». A proposito, le deve raccogliere per candidarsi? «No, abbiamo diritto all'esenzione, non c'è alcun dubbio. Ma, visto che è la prima volta che viene stabilita per un parlamentare eletto in una lista, ho chiesto anche vari pareri pro veritate. C'è stata una comunicazione in questo senso da parte del Parlamento europeo, che immagino il Viminale abbia girato alle Corti d'Appello». Tornando alla rottura con Letta, lei non pensa di avere delle responsabilità? «Solo di essere stato ingenuo, di essermi fidato che il nostro patto sarebbe stato rispettato. C'era scritto che il Pd poteva siglare altre alleanze, ma certo non sottoscrivendo accordi che, di fatto, disconoscessero quello con +Europa-Azione. A un certo punto, non ho più capito con quale intesa ci saremmo presentati davanti agli elettori. Nell'ultima nostra riunione gli ho detto: "Enrico stai facendo la cavolata della tua vita, la gente così non capirà, sembriamo Frankenstein, io non posso starci". Quindi, la scelta l'hanno fatta loro, come fu per l'alleanza con M5s». Ma accusano lei di far vincere la destra. «Non sono io che mi sono rimesso con quelli che hanno votato la sfiducia a Draghi, è Letta che ha detto una cosa agli italiani e ne ha fatta un'altra. Dovrà spiegare lui agli elettori perché devono votare uno che si è opposto all'adesione di Svezia e Finlandia alla Nato. O perché Di Maio viene candidato dal Pd a Bologna, uno che diceva che lì i dem rubavano i bambini. Con l'attuale schema di gioco, così non riesci a intercettare il voto moderato, di chi non si sente rappresentato da questa destra. Allora tanto valeva fare l'accordo con Conte, almeno i 5 stelle portavano qualche voto in più». Ora finisce che fa campagna elettorale contro il Pd? «No, io mi sto solo difendendo. Dopo la mia decisione mi hanno scatenato contro di tutto, ho detto pubblicamente ai miei di non rispondere. Ma non accetto che Letta dica che lui non sapeva, su questo non posso non replicare». Tornando ai moderati, per prendere quei voti serve il terzo polo? «Non è solo necessario, è fondamentale. Se noi non ci fossimo, si creerebbe un vuoto enorme per gli elettori moderati e nessuna possibilità di sottrarre voti alla destra». L'obiettivo, quindi è la non vittoria di Meloni, cioè puntate a un pareggio? «Sì, ma lo abbiamo sempre detto, del resto eventuali governi di centrodestra o centrosinistra, con queste alleanze, non reggerebbero un giorno. L'obiettivo, sperando che i cittadini ci diano i voti sufficienti, è arrivare a una maggioranza Ursula, costruendo una coalizione larga che chieda a Mario Draghi di rimanere a palazzo Chigi». Ne ha parlato con lui? «Non mi permetterei mai. Lo vedremo dopo, intanto pensiamo a non far vincere la destra. E, se non vince, credo che si dissolverà, a cominciare dalla leadership di Salvini e da quello che resta di Forza Italia. Così potrà crearsi un'area popolare che manca in Italia, ma che già esiste in Europa». Quindi, da parte vostra nessuna politica dei due forni dopo le elezioni? «No, perché c'è un forno, quello sovranista, che è estremamente pericoloso. Ho calcolato che finora il centrodestra ha fatto promesse che valgono 200 miliardi di euro, dalla flat tax al resto. Berlusconi credo sia al quinto miracolo italiano, roba che neanche Gesù Cristo. Noi siamo all'opposto, per le cose concrete da fare e per il metodo Draghi, saper dire dei sì e dei no netti». Pensa anche lei che, se vincono loro, ci sia il rischio di un'emergenza democratica? «No, la democrazia non è in pericolo, ma c'è un rischio di declassamento dell'Italia, da grande Paese europeo a piccolo Paese emarginato. La situazione è difficile, abbiamo un debito monstre, rischiamo di andare a gambe all'aria. E aggiungo che Giorgia Meloni dovrebbe dire parole chiare sul fascismo, perché non può presentarsi in Europa in modo credibile senza aver risolto la questione. L'alleanza con Orban non ci porta solo in serie B, ma anche fuori dai tavoli dove si decidono i fondi del Pnrr e i dossier più importanti». Però Meloni sembra avere la strada spianata per la vittoria, o no? «Non credo proprio, non c'è niente di scritto, proprio perché c'è un ampissimo mondo moderato che non vuole votare a destra o a sinistra e aspetta una proposta alternativa di buon senso. Meloni va battuta sul terreno del proporzionale, al Senato. Io mi candiderò lì e andrò in Veneto, dove ho preso un fracco di voti alle Europee, andrò in Lombardia, nelle valli dove votavano la Lega e ora la gente non li vuole più sentire. Andrò porta a porta a spiegare alle persone che votare quelli significa portare al disastro l'economia e la società italiana. La mia sarà una battaglia strenua, peccato non possa farla con Letta». Vede che ci ripensa? «Perché era una cosa che si doveva fare e mi dispiace. Bastava che Letta avesse il coraggio di accettare la sfida riformista, facendo fare al Pd la sua parte a sinistra. Peccato, perché io e lui, spalla a spalla, potevamo vincere». E lei e Renzi, invece, dove potete arrivare? A che risultato puntate? «Io e Renzi non so, anche perché ancora non c'è un accordo. Noi come Azione vogliamo fare un'operazione simile a quella di Roma, puntando su un programma chiaro, temi concreti. Nella corsa al Campidoglio, all'inizio, ci davano al 6%, poi abbiamo preso il 20%». Nonostante la chiamino il "Churchill dei Parioli"...«Ho detto più volte che non ho mai abitato ai Parioli in vita mia. Questo non vuol dire che non venga da una famiglia agiata, ma c'è chi pensa che, siccome mia madre fa la regista, sia come Spielberg, con uno yacht da 50 metri e l'elicottero. I registi in Italia non sono così, ma proprio non gliela faccio a spiegarlo». --© RIPRODUZIONE RISERVATA