Tre ragazzi confessano l'omicidio di Lorena

CALTANISSETTA. L'hanno uccisa perché ha detto loro di essere incinta. L'hanno picchiata, l'hanno strangolata con un cavo per la corrente elettrica e, alla fine, dopo aver dato fuoco ai brandelli di vestiti, hanno cercato di eliminare il suo cadavere. Prima hanno tentato di bruciarla. Poi hanno legato il suo corpicino nudo con una corda a un masso e l'hanno gettata dentro a una cisterna. Gli assassini di Lorena, la ragazza di quattordici anni trovata semi-carbonizzata dentro a un pozzo due giorni fa nella campagne di Niscemi, hanno i volti di tre minorenni del suo paese.
Domenico ha 17 anni e fa il carrozziere. Giuseppe, di anni ne ha 16 anni e lavora nelle serre, mentre Alessandro, 15 anni, frequenta un istituto superiore. Dopo una notte sotto la pressione degli investigatori hanno confessato di averla uccisa. Prima è crollato uno, poi gli altri. «Ha detto che era incinta di uno di noi e che l'avrebbe detto a tutti», hanno detto agli inquirenti.
L'hanno uccisa per scelta. Non un delitto passionale, non un gesto d'impeto. Era con loro che Lorena giocava a fare la grande in quel casolare nella vallata. E a loro, tutti fidanzati con altre ragazzine, piaceva giocare con lei. Ma la gravidanza non potevano accettarla. Alessandro, il più piccolo del gruppo, ha ricostruito quel pomeriggio agli investigatori: «Conoscevo Lorena da cinque mesi - ha detto il quindicenne - e con lei avevo avuto anche un rapporto sessuale. Ero davanti alla scuola di Niscemi insieme con Giuseppe e Domenico. Lorena era li e quando ci ha visto arrivare ci ha detto che era sua intenzione incolpare uno di noi tre del fatto che era incinta. Domenico mi inviò un sms nel quale mi diceva più o meno che dovevamo 'ammazzare Lorena". Da quel momento è scattato il piano nelle campagne alla periferia di Niscemi». Cosi quel pomeriggio del 30 aprile Lorena è salita a bordo del motorino di Domenico diretta in quel casolare a due chilometri da casa. Con loro, a bordo di un altro scooter, c'erano anche Giuseppe e Alessandro. E si è fidata.
«All'interno del casolare - ha raccontato ancora l'indagato - Domenico e Giuseppe hanno iniziato a spogliare Lorena, che in qualche modo cercava di fare resistenza soprattutto verbale, dicendo che non voleva essere spogliata. Giuseppe e Domenico hanno proseguito e sono riusciti a spogliare del tutto Lorena, e a turno, prima Giuseppe, poi Domenico e per ultimo io, abbiamo avuto rapporti con lei. Poi Giuseppe e Domenico hanno iniziato a prenderla a calci e pugni, perché aveva messo in giro false notizie nei loro confronti creando problemi con le loro rispettive fidanzate. Ad un certo punto ho notato Giuseppe o Domenico, non ricordo esattamente chi dei due, anche per la rapidità del gesto, che passavano al collo di Lorena un filo di corrente elettrica o un cavo tv, ed entrambi glielo stringevano fortemente a tal punto da soffocarla. Io me ne stavo in disparte a guardare, e Giuseppe e Domenico mi hanno detto di tapparle la bocca, perché Lorena cercava di gridare aiuto. Preso dalla paura che potevano anche farmi del male, le ho messo la mano sulla bocca fino a quando non ci siamo accorti che Lorena non respirava più e le usciva anche sangue dalla bocca».
Il padre di Lorena, Giuseppe Cultraro, imbianchino e vigilE del fuoco volontario, non si dà pace per la sua «bambina» come continua a chiamarla. «Se questi ragazzi sono colpevoli non devono uscire più dalla galera», ha ripetuto per tutto il giorno.
Dopo l'omicidio i tre ragazzi sono tornati in paese a bordo dei loro scooter, come se niente fosse. Per tredici giorni hanno vissuto con questo peso, ma non hanno ceduto. Anzi. Sarebbero stati loro a depistare le indagini, dicendo di aver visto Lorena salire a bordo di una Golf grigia. Ma gli inquirenti hanno messo i tre ragazzi sotto osservazione. Era bastato guardare i tabulati telefonici per vedere che tutti e tre avevano avuto contatti con la ragazza il giorno della sua comparsa.
Domenico, Giuseppe e Alessandro sono tre ragazzi «normali». Amici fin da piccoli, vengono da famiglie di condizioni economiche modeste ma che niente hanno mai avuto a che fare con la criminalità. Ieri i loro genitori, per la vergogna, hanno abbandonato le proprie abitazioni.