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il casoStefano Mancini«Lascio un'azienda che amo». Il matrimonio tra Mattia Binotto e la Ferrari si è concluso ieri con due comunicati stampa, quello del team principal che presenta le dimissioni e l'altro dell'azienda che le accetta e lo ringrazia. La storia è durata 28 anni: da quando il neolaureato in ingegneria meccanica varca i cancelli di Maranello per uno stage e da lì comincia a salire tutti gli scalini di una carriera brillantissima costruita in casa. Binotto si mette in luce nel reparto motori, ne diventa il responsabile, poi è promosso direttore tecnico da Marchionne, fino a subentrare ad Arrivabene nel ruolo di responsabile della Gestione sportiva, in breve "team principal". «Lascio con la serenità che viene dalla convinzione di aver compiuto ogni sforzo per raggiungere gli obiettivi prefissati», scrive Binotto. Tradotto: non meritavo di dovermene andare. La risposta dell'azienda è rituale: «Desidero ringraziare Mattia per i suoi numerosi e fondamentali contributi nei 28 anni passati in Ferrari - scrive l'amministratore delegato Benedetto Vigna - e, in particolare, per la sua guida che ha portato il team ad essere di nuovo competitivo nella scorsa stagione». Tra le righe traspare un «ci aspettavamo di più». La Ferrari cambia guida nella speranza di fare quel salto di qualità che di anno in anno è stato rinviato. Ciò che viene rimproverato a Binotto è impresso nel film di una stagione che comincia con grandi aspettative e si conclude in discesa vertiginosa. L'ultima prova d'orgoglio di squadra ad Abu Dhabi serve a centrare l'obiettivo di consolazione dei due secondi posti (Leclerc dietro a Verstappen, Ferrari alle spalle di Red Bull), non a salvare la posizione del team principal. L'avvio di stagione aveva illuso un po' tutti, pronti-via due vittorie e un secondo posto. Nel bilancio del 2022 gli errori hanno pesato più delle cose fatte bene perché macroscopici. Le strategie sono state un punto dolente, per usare un eufemismo. La pole position di Leclerc nella sua Montecarlo si è tramutata in un quarto posto al traguardo e ha incrinato il rapporto tra il pilota e il suo capo. In Ungheria Verstappen e Hamilton hanno riso insieme delle scelte del muretto Ferrari, in Olanda al pit stop non si trovava una ruota di Sainz, in Brasile altri guai per Leclerc, spedito in pista con gomme da pioggia leggera per un giro su asfalto asciutto.Ed è l'unico a farlo. Sono tutte situazioni che hanno portato ad altrettante sconfitte oltre che a un danno di immagine. Anche i piloti hanno sbagliato e contribuito (in misura minore) alla sconfitta. Poi ci sono gli errori di progetto: il primo, emerso all'improvviso e inaspettato in maggio, riguarda l'affidabilità. Per ridurre i ritiri, è stata tagliata la potenza, con tutte le conseguenze a livello di prestazioni. Altro squilibrio: la Ferrari chiude la stagione 2022 con 12 pole position e 4 vittorie, la Red Bull risponde rispettivamente con 8 e 17. Non sarà responsabilità diretta del team principal, ma è inevitabile che sia lui a doverne rispondere.Punto dolente è infine il rapporto con i piloti. Leclerc si aspettava un trattamento da prima guida sempre e comunque, mentre Binotto cercato da buon ingegnere di massimizzare i risultati di squadra. Ricomposta la crisi di Montecarlo, sono scoppiate altre discussioni. Se il pilota è stato interpellato, l'ultima spallata l'ha data lui. --© RIPRODUZIONE RISERVATA