Senza Titolo

il raccontoFrancesco CodagnoneA Trieste lo chiamano "Momo", ma il suo vero nome è Mohamed Seck. In città è possibile incontrarlo un po' ovunque, perlopiù tra le stradine del Borgo Teresiano, o la sera in via Torino, o ancora d'estate sul lungomare di Barcola. Riconoscerlo non è difficile: gira per Trieste con una cartellina di cuoio sottobraccio e un sorriso che non nega a nessuno. A volte viene chiamato anche "uomo delle farfalle", in virtù di quelle opere d'arte che Mohamed vende per le vie della città, fin dal suo arrivo cinque anni fa. Sono piccoli quadri che raccontano storie immense: storie di viaggi e di popoli lontani. La storia del Senegal, dove Mohamed è nato. Le storie senza tempo dell'Africa, che prendono forma e colore in un mosaico di ali di farfalla e resina di Baobab. Sono quadri vibranti, sembra quasi di vedere quelle ali battere ancora nel cielo, e allo stesso tempo spezzano il cuore: «Le farfalle vivono un giorno soltanto, ma la loro bellezza può durare in eterno». Mohamed nasce nel 1988 a Thiès, in Senegal. È una città piuttosto grande, un altopiano in una zona rurale non molto distante da Dakar. Il clima è tropicale, mitigato dal vicino oceano Atlantico. Le stagioni sono due: calda e molto calda. Mohamed frequenta la scuola per un po', ma presto, come spesso accade in Senegal quando non si hanno grandi possibilità, lascia gli studi e inizia a lavorare come muratore. È però un ragazzo sensibile, dall'animo intimamente romantico, e sogna ben altro che cemento e mattoni: Mohamed sogna l'arte. Forse non vi è portato, mancherà di tecnica e precisione, eppure c'è qualcosa, in quel contrasto tra il grigio del calcestruzzo e i colori vivaci della sua terra, che lo ispira e lo fa sentire irrequieto. «Non sono capace di disegnare, ma sentivo il bisogno di circondarmi di bellezza: se non mia, degli altri». Appena diciottenne, Mohamed lascia il suo lavoro e inizia a cimentarsi nella vendita di opere di artisti locali. Pittura "sour verre", piccole sculture, tavolette in legno: l'arte senegalese, tra le più ricche del continente, si caratterizza per forme dinamiche e libere da ogni canone, un compromesso tra l'idea astratta e l'oggetto concreto. Le opere a cui è più affezionato sono quelle di Momo, suo fratello: mosaici realizzati con le ali delle farfalle che muoiono da sole. Momo le raccoglie nel parco Djoudj, alle rive del fiume Senegal, il "santuario degli uccelli" ma anche il "mondo delle farfalle". Le raccoglie e le lega assieme con la resina del Baobab, le sovrappone per crearvi immagini e storie dell'Africa: tradizioni, leggende, superstizioni. Mohamed vende queste opere d'arte per tutto il Senegal e oltre confine: Thiès, Saint Louis, Dakar, Capo Verde, fino a Pointe des Almadies, il punto più a ovest di tutta la costa africana. Incuriosito dall'arte europea e da sempre desideroso di viaggiare, a trent'anni Mohamed decide di lasciare il Senegal.La scelta ricade sull'Italia, e il perché fa sorridere: «Fin da piccolo seguivo le partite di pallone in televisione e tifavo per gli Azzurri». Insomma: le premesse ci son tutte. Mohamed si trasferisce così in Italia, la gira un po' tutta e poi si ferma in Abruzzo, e per alcuni anni vende quadri lungo la costa dei trabocchi. A Trieste ci arriva nel 2017, dopo una visita a dei parenti, già da tempo in città. Trieste lo colpisce per due cose, anzi tre: per la sua storia complicata, per la sua arte a cielo aperto e per la sua scontrosa gentilezza. Forse più che di farfalle, il cielo di Trieste sarà pieno di gabbiani, ma «era la città più bella che avessi visto»: Mohamed si innamora dei palazzi asburgici, delle ampie piazze e dei castelli antichi. La sensazione, per lui, è che ci sia una storia in ogni suo angolo, e qui il suo lato romantico rimane estasiato. Del resto, si sa: Trieste era, ed è, la città della creatività e degli artisti. «Trieste è una galleria d'arte e volevo riempirla di ancor più quadri». Mohamed inizia così a girare per le vie della città, vendendo le opere di suo fratello Momo. Forse è per quelle due sillabe appuntate in un angolo di quei quadretti che molti in città lo chiamano con quel nome. Mohamed lo conoscono un po' tutti, non solo per le ali di farfalla ma anche per il suo sorriso: girando in città non c'è persona che non lo saluti con affetto. Quando lo incontri, "Momo" ti mostra le sue opere, ti spiega come vengono realizzate, ti racconta delle farfalle, del Baobab e del parco Djoudj. E nel mentre ti porta al bar e ti offre un caffè, e in cambio ti chiede di raccontargli qualche storia su Trieste e sui suoi artisti. È bastato un anno per conquistare i cuori dei triestini: nel 2018, Mohamed già organizzava la sua prima mostra delle opere di "Momo Papillon" al Caffè San Marco. Da allora, in tanti in città si sono innamorati dei "quadri farfalla", acquistandoli da quel gentile ragazzo. «Non mi aspettavo tutto questo affetto», ma le farfalle non riescono a vedere le proprie ali, non sanno quanto sono belle. Nella «città più bella del mondo», come la chiama lui, Mohamed ha trovato arte e gentilezza. Non sa se ci vivrà per sempre: sogna di tornare un giorno in Senegal, dalla sua famiglia. Sogna di aprire una sua galleria d'arte, nel cuore dell'Africa, per dare occasioni a nuovi artisti emergenti con poche possibilità, un po' come lo era suo fratello Momo prima che le farfalle dolcemente attraversassero terra e mare. Forse realizzerà anche questo sogno. Per il momento, si gode le strade di Trieste, e le riempie di farfalle. --© RIPRODUZIONE RISERVATA