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l'intervista«Introdurre in Costituzione l'ufficialità dell'italiano è un'idea condivisibile. Lo è meno, secondo me, la seconda parte della stessa proposta, laddove si prevede l'obbligo di conoscerlo, perché un inquadramento nazionalista dell'uso della lingua non trova accoglimento in Costituzione, che, al contrario, inserisce tra i diritti inviolabili quello di poter esprimersi nella propria lingua». Commenta così, il costituzionalista Salvatore Curreri, la proposta del senatore Roberto Menia sulla modifica dell'articolo 12 della Carta fondamentale dello Stato. Professore, perché l'italiano non è riconosciuto come lingua ufficiale in Costituzione?«Fu una scelta voluta, perché venivamo da un periodo di nazionalismo linguistico che in alcune zone si era tradotto ad esempio nell'italianizzazione forzata dei cognomi. Il Costituente preferì così evitare il pericolo di nuovi rigurgiti nazionalisti, tant'è vero che la Costituzione tutela le minoranze linguistiche all'articolo 6, oltre a vietare, con l'articolo 3, le discriminazioni in base alla lingua. Si pensi poi all'articolo 111.3, che prevede, per chi è accusato di un reato, il diritto di essere assistito da un interprete se non comprende la lingua». Ma non è scritto da nessuna parte che in Italia l'italiano è la lingua ufficiale? «Non è sancito a livello costituzionale, ma a livello legislativo sì, lo è. Lo prevede l'articolo 1, comma 1, della legge 482 del 1999. A ciò si aggiunge una sentenza della Corte costituzionale, la 42/2017, in cui si afferma che il "primato della lingua italiana è costituzionalmente indefettibile e ancor più decisivo per la perdurante trasmissione del patrimonio storico e dell'identità della Repubblica"». Il comma proposto dal senatore Menia cosa cambierebbe? «Dal punto di vista pratico, niente, benché farlo non comporti nulla di negativo, anzi. Inserire la prima frase, "L'italiano è la lingua ufficiale della Repubblica", è un suggerimento condivisibile, che credo non verrebbe osteggiano, a meno che dietro non vi sia un retropensiero nazionalista a scapito di altri diritti. Mi riferisco alla seconda parte, quella che introduce il dovere di conoscere la lingua: su questo ho delle perplessità, che trovano riscontro nel testo della nostra Costituzione, come detto prima». Ma negli altri Paesi quale strada si è seguita? «Non esiste una regola. Ci sono Paesi come la Francia che inseriscono l'ufficialità all'articolo 2. Altri, come la Svizzera, il Belgio e il Canada, che riconoscono il plurilinguismo linguistico. Tutti poi, a eccezione della Serbia, prevedono forme di tutela per le minoranze linguistiche, seppure con modalità diverse». Menia dice di aver copiato la Costituzione spagnola. «Parzialmente. È vero che l'articolo 3, comma 1, prevede che "il castigliano è la lingua ufficiale dello Stato. Tutti gli spagnoli hanno il dovere di conoscerla e il diritto di usarla". Ma poi c'è il comma 2: "Le ulteriori lingue spagnole saranno altresì ufficiali nell'ambito delle rispettive Comunità autonome conformemente ai propri Statuti". E c'è il terzo: "La ricchezza del pluralismo linguistico in Spagna è un patrimonio culturale che sarà oggetto di speciale rispetto e protezione". --El. Col.