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la recensionePietro SpiritoLa Chiesa cattolica non è avara di figure che hanno segnato un'epoca, una storia, un territorio. In un Paese tradizionalista come l'Italia la diffusa e penetrante azione pastorale ha svolto un ruolo determinante nell'evoluzione della società , della cultura e anche della politica. Si pensi, per Trieste, alla figura del vescovo Santin. E si pensi, per la Bassa Friulana, a un personaggio come monsignor Pietro Cocolin (Ruda, 2 agosto 1920 - Gorizia, 11 gennaio 1982). Il suo apostolato si svolse tra Cormons, Terzo d'Aquileia, Aquileia e Monfalcone, lasciando il segno. Nei suoi ventitrè anni di azione apostolica don Rino, come veniva amichevolmente chiamato, si mise in luce per le sue qualità di organizzatore e animatore, soprattutto nei confronti dei giovani. A Cormons, ad esempio, fondò una squadra di calcio, contribuì alla realizzazione dell'oratorio, organizzò i primi campi scout, allestì un coro parrocchiale, insegnò nelle scuole locali e seguiva i malati.Lo ricorda Pier Paolo Gratton nella biografia del monsignore appena pubblicata dalle edizioni Forum, "Non lasciateti solo - Storia di monsignor Pietro Cocolin, il vescovo che voleva fare il parroco"(pagg. 351, euro 24). Il libro verrà presentato domani, alle 18, al Kulturni dom di Gorizia. Il lavoro di Gratton, ormai il più attento e preparato biografo di Cocolin, segue passo passo la vicenda umana e pastorale del presule, sin dalla famiglia di origine, "una delle tradizionali famiglie patriarcali della Bassa". Fu ordinato presbitero a Gorizia il 3 giugno 1944, in piena guerra. Ed è allora, nota Andrea Bellavite nella prefazione al volume, "che la vicenda personale e quella del territorio cominciano a intrecciarsi reciprocamente".Dopo l'ordinazione Cocolin diventa vicario cooperatore a Cormons, nel 1951 viene nominato parroco a Terzo d'Aquileia e nel 1955 decano di Aquileia. Nel 1966 è trasferito alla parrocchia di sant'Ambrogio a Monfalcone in qualità di arciprete, finché, il 26 giugno 1967 papa Paolo VI lo nomina a sorpresa arcivescovo metropolita di Gorizia e Gradisca. Il 3 settembre successivo riceve l'ordinazione episcopale, nella basilica di Santa Maria Assunta ad Aquileia, dal cardinale Giovanni Urbani, consacranti l'arcivescovo Antonio Santin ed il vescovo Emilio Pizzoni. Il 24 settembre prende possesso dell'arcidiocesi, facendo il suo ingresso a Gorizia.Il titolo del libro, nota Gratton, "Non lasciatemi solo" evoca "il tormento di mons. Cocolin appena nominato vescovo", e sottolinea la sua attitudine a rimboccarsi le maniche e ad agire in prima persona sul territorio, specie quando si trattava "di applicare a casa sua le direttive riformatrici del Concilio". Cosa tutt'altro che semplice, ricorda Gratton nella biografia del presule, esposto com'era a critiche feroci quando, ad esempio, volle istituire "la parrocchia personale a favore del fedeli di lingua slava".Convinto anticomunista e anticapitalista, le sue energie si concentrarono in particolare verso i giovani. Per loro ideò strutture, scuole, corsi di perfezionamento e momenti di svago. Una specie di don Camillo, insomma, come indica Bellavite, anche se quel mondo rurale e ruspante stava scomparendo. Quello di Cocolin, spiega Gratton, fu dunque un percorso frastagliato e contrastato che non gli impedì di essere amato e riconosciuto come "vescovo popolare", figlio della sua terra. Di lui rimane in particolare il ricordo, conclude Gratton, di un vescovo che "nelle decisioni voleva sempre la condivisione, la partecipazione e il consenso, più larghi possibili, del suo presbiterio". Non sempre ascoltato, nemmeno nel suo ultimo desiderio di essere sepolto nella amata basilica di Aquileia. --© RIPRODUZIONE RISERVATA