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Mary B. TolussoLa poesia dialettale triestina ha una forte tradizione, un ciclo che dura tutt'ora. Basti ricordare che Claudio Grisancich è tra i pochi dialettali inseriti nel Meridiano Mondadori dedicato al genere. Quindi sì, il verso dialettale è tutt'altro che morto: da Giotti a Grisancich, appunto, passando attraverso Cergoly e Doplicher. Non stupisce quindi il buon libro di Patrizia Sorrentino che raccoglie ora la sua opera in "Quel che porta la marea" (Vita Activa Nuova, pag. 216, euro 15), silloge, come sottolinea nell'introduzione anche Walter Chiereghin, forte per struttura e lingua. Sorrentino è nata a Trieste ma Trieste non è il centro del mondo, come capita spesso ai poeti nostrani. Trieste piuttosto è un paesaggio di roccia e mare, di bora, pioggia e sole che funge da perfetta proiezione degli stati d'animo. Il libro sarà presentato oggi, alle 18.30, all'ex Lavatoio di Trieste (via San Giacomo in Monte 9). L'autrice dialogherà con Walter Chiereghin, mentre l'attrice Sara Alzetta proporrà delle letture. La qualità della scrittura manifesta da subito questa versatilità, questa simbiosi metaforica. Di rado un particolare fisico del territorio, ma anche di una stagione o di una momentanea atmosfera climatica, non rappresenta lo stato psicologico dei soggetti umani. L'esistenza è in prima linea, divisa in cinque sezioni che evidenziano diverse fasi della vita, ma non solo. Sorrentino ci fa entrare da subito nella sua poetica, per proseguire poi con il tema della memoria, dell'amore, della maternità fino a più complessi stati sentimentali. C'è leggerezza, ma si tratta di quelle "leggerezze abissali", per niente consolatorie. Certo, potremmo pensare che tanta flora, tanti colori e tanto mare stiano a indicare la bellezza di un quadro, ma non è così. Il merito è proprio quello di dire la vita - anche nella sua tragedia - tramite lievi pennellate: "Nissun diria come / la vita / comincia per tuti / e finissi". O ancora versi che dell'esistenza denunciano la sua imprevedibilità e casualità dove, "No saver e spetar", pare essere l'opzione migliore. Forte di una sensualità che deve molto alla lezione di Grisancich, Sorrentino con poche frasi ci restituisce una dimensione erotica perfetta, energica ma in equilibrio, senza mai cadere in precipizi retorici. D'altra parte ciò che emerge in tutte le sezioni è un elemento necessario ai poeti: l'inquietudine. Una tensione che si focalizza all'esterno ma che si basa su una decisa introspezione psicologica: "Mi / son cressuda / co' la smania cusida 'ndosso", ci dice l'autrice di "ani stufadizzi" dove non basta certo un giorno per aggiustarsi. Lei che è nata "iazzada / nel mese più curto" non ha però alcuna intenzione di abbandonarsi a un tetro nichilismo, anzi, riesce a dire la vita (anche) tramite la morte. Riesce insomma a fermare quei momenti intensi che senza fine non avrebbero senso, versi di forti immagini ed evocazioni, a dirci con "semplicità" la complessità del tutto e che la confermano come una delle migliori voci dialettali del territorio. --