Ronchi non dimentica il sacrificio di tanti ragazzi deportati dai nazisti
RONCHINonostante siano ormai trascorsi ben 78 anni da quella orrenda data, Ronchi dei Legionari non dimentica i suoi cittadini, uomini, donne e bambini che furono deportati nei campi di concentramento. Ieri, nel corso di una cerimonia svoltasi in piazza Oberdan, luogo di raccolta di quelle persone prima della prigionia, sono stati ricordati i 68 uomini catturati nel rastrellamento del 24 maggio 1944, a cui seguirono altri 20 nel successivo rastrellamento del primo giugno, mentre qualche tempo dopo 24 donne di ogni età, da ragazzine di 15, 16 anni a donne di età avanzata, partigiane, collaboratrici ed anche altre prese a caso, che, dopo pochi giorni passati nelle carceri del Coroneo, furono deportate ad Auschwitz. Un ricordo ed assieme un monito dedicato alla pace ed alla fratellanza che, presenti gli alunni della classe terza A della scuola media Leonardo Da Vinci, si sono sviluppati nel corso degli interventi che hanno visto protagonisti il sindaco, Livio Vecchiet, il parroco di San Lorenzo, don Ignazio Sudoso e Libero Tardivo, presidente dell'Aned. Alla cerimonia, con il gonfalone decorato con medaglia d'argento, anche la presidente dell'Anpi, Marina Cuzzi. «È doveroso ricordare che tanti nostri concittadini, dopo il settembre 1943 - ha detto il primo cittadino - decisero che bisognava fare qualcosa per combattere i soprusi, la mancanza di democrazia, la mancanza di libertà, la povertà che il regime fascista aveva imposto a tutti i cittadini. Questi cittadini, di cui noi ci onoriamo di essere gli eredi, con coraggio, entrarono a fare parte del movimento chiamato Resistenza, che fu uno degli artefici principali, assieme alle forze alleate, della liberazione del nostro Paese, dai tedeschi, dal nazifascismo. Sono passati 78 anni da quest'episodio. Tanti, purtroppo, non sono più tra noi. Solo due persone possono ancora testimoniare quei soprusi. Il loro sguardo, la loro commozione e le loro parole, durante le manifestazioni che ricordavano i fatti della Resistenza, ci ha fatto capire che i valori di cui sono stati portavoce in quegli anni, li hanno affidati a noi e noi dobbiamo tramandarli».Proprio alla cerimonia di ieri era presente Rodolfo Franzi, classe 1923, internato a Dachau. Toccante la testimonianza di Libero Tardivo, figlio di Giacomo Tardivo, uno dei deportati. La sua famiglia pagò un prezzo altissimo. Arcu Tardivo fu giustiziato alla Risiera di San Sabba, i fratelli Giacomo e Mario furono internati a Dachau, ma ebbero modo di tornare a casa. E don Sudoso ha chiesto di riflettere sulla frase impressa sulla lapide di piazza Oberdan. Una frase di Primo Levi che non deve essere dimenticata. --LU.PE.