Cessate il fuoco
il retroscenaNew York-WashingtonSpiega John Kirby, portavoce del Pentagono, che la telefonata fra Lloyd Austin e Sergey Shoigu «non è stata risolutiva». Sul tappeto i nodi restano, ma i due ministri della Difesa di Stati Uniti e Russia, parlandosi, hanno rotto il gelo dopo 79 giorni di blackout e riacceso quel filo di dialogo che nei giorni scorsi il premier italiano Mario Draghi aveva chiesto si riattivasse e il cui sforzo, spiegano ambienti diplomatici a Palazzo di Vetro, ha avuto un peso.All'omologo russo il capo del Pentagono ha ribadito la richiesta di «un cessate il fuoco immediato» nel corso di una telefonata che fonti della Difesa hanno definito dai toni asciutti, quasi gelidi. Ma è durata un'ora e ha gettato le basi per dei seguiti. Sul risultato della chiamata - partita per l'ennesima volta da Washington e alla quale, dopo molte sollecitazioni, Shoigu si è deciso a rispondere - nessun trionfalismo quindi. Anzi, non è servita a risolvere «nessuno dei gravi problemi» sul tappeto, ha sottolineato Kirby. Ma il segnale è comunque incoraggiante. Soprattutto in una giornata in cui alla porta socchiusa sulla rotta Washington-Mosca, ha fatto da contraltare lo stop di Erdogan all'adesione di Finlandia e Svezia nella Nato. «Siamo in contatto con la Turchia per risolvere la questione», dice la Casa Bianca cercando di derubricare la questione a intoppo di percorso e non a problema. Ieri mattina Biden ha chiamato i leader di Helsinki e Stoccolma ai quali ha ribadito il sostegno statunitense alla politica delle «porte aperte» dell'Alleanza. E da oggi il segretario di Stato Antony Blinken sarà a Berlino per il vertice informale dei ministri degli Esteri della Nato. Precederà di pochi giorni la visita del segretario del Tesoro Janet Yellen, anche lei in Germania per il summit dei ministri economici del G7 che potrebbe portare a un nuovo round di sanzioni.Sulle relazioni con Putin Washington si muove su diversi piani. Il canale di dialogo è stato aperto attraverso i ministri della Difesa per due motivi. Il primo è che si tratta di «prove tecniche» di trattativa e non politiche. Il secondo è che il canale della diplomazia è ancora improbabile a causa del deterioramento registrato da Lavrov agli occhi degli americani (e non solo), per le affermazioni di recente pronunciate, anche nella dibattuta intervista concessa all'Italia.Nei giorni scorsi l'ambasciatore Usa a Mosca John Sullivan aveva incontrato i capi del ministero degli Esteri anche qui nel tentativo di tenere aperte le vie di comunicazione. Anzitutto per evitare incidenti sul campo che potrebbero innescare un'estensione del conflitto. Ci sono due temi specifici che stanno a cuore a Washington. Il primo è legato alla possibilità di sbloccare le consegne di grano da parte dell'Ucraina e quindi di riattivare i commerci nel Mar Nero. È un tema particolare sul quale anche Draghi ha chiesto l'intervento Usa. Il secondo è, invece, la questione umanitaria e i corridoi per aiutare sfollati e profughi. Ma un conto sono gli interventi per alleviare le sofferenze della popolazione, un altro è parlare di dialoghi e negoziati. E su questo a Washington la linea - e siamo sul piano politico - resta di estrema prudenza perché «non ci fidiamo di Putin», è il ritornello che ad ogni livello dell'Amministrazione ci si sente ripetere. Nonostante le pressioni degli europei. La telefonata fra Scholz e Putin di ieri è vista come la prova che il Cremlino non è pronto ad aprire seri negoziati. E su questo la strategia Usa è abbastanza chiara: «Apprezzamento per gli sforzi dei partner che cercano una soluzione diplomatica», spiega una fonte del Dipartimento di Stato. La parola chiave è «apprezzamento». Che cosa ben diversa è dal sostegno che qualcuno oltre Oceano, come Macron, vorrebbe sentir giungere da Washington. A riassumere la posizione è un portavoce del Dipartimento di Stato che ha detto: «Siamo impegnati a mettere l'Ucraina nella posizione negoziale più forte possibile continuando a garantire assistenza affinché gli ucraini possano difendersi da soli e incrementando la pressione su Putin imponendo pesanti sanzioni alla Russia». La consegna di armi - il grosso potrebbe arrivare il mese prossimo e quello è ritenuto il momento chiave del conflitto negli ambienti di Washington - prosegue senza sosta. L'obiettivo, chiarisce il portavoce, è quello di mettere Putin in condizioni di aver il meno possibile di margini di azione. E su questo l'America lancia un avvertimento agli europei, tocca a Zelensky decidere le mosse e se una proposta di accordo è o meno accettabile. Una posizione già riassunta bene anche da Draghi all'indomani dell'incontro con Biden. «Lasceremo all'Ucraina - ha detto la fonte del Dipartimento di Stato - discutere i punti specifici dei negoziati, siamo impegnati a difenderne la sovranità, l'indipendenza e la sicurezza». Su questo i contatti con Kiev e gli alleati sono continui«La determinazione di Washington - proseguono le fonti di Palazzo di Vetro - nasce dalla volontà di innescare un meccanismo di deterioramento ai danni della Russia attraverso il conflitto, in seguito al quale l'Ucraina diventerebbe una buffer zone tra la Russia e l'Europa». Il Paese assumerebbe così le sembianze di un «grande Kosovo» nel cuore del Vecchio Continente, che faccia da cuscinetto piuttosto che da cortina di ferro. Ma siamo in uno scenario per ora immaginato. E che è ben oltre il senso della telefonata fra Austin e Shoigu. --© RIPRODUZIONE RISERVATA