Il premier irritato con i 5S più vicino il voto in autunno
«Noi non possiamo accettare una cosa del genere. Il no agli inceneritori è una posizione storica, abbiamo cacciato un sindaco per questo!». Mentre Stefano Patuanelli parlava in Consiglio dei ministri, lunedì, cercando di far capire al presidente de Consiglio la posizione del Movimento 5 stelle, Mario Draghi lo guardava come se avesse davanti un fantasma. Con l'aria di chi è chiamato a dirimere una questione che non lo riguarda: i poteri speciali per creare nuovi impianti li ha chiesti il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, quindi il Pd. Il partito alleato del Movimento. Per il premier, è una questione che devono risolvere tra loro. Ma non c'è solo l'irritazione per quello che considera un falso problema, a spingere l'ex presidente della Bce a fare - a Strasburgo - un'altra dichiarazione che ha colpito al cuore la comunicazione dei 5 stelle. L'attacco al bonus 110 per cento non è nuovo, Draghi è realmente convinto che sia fonte di storture sul mercato e che bisogna presto tornare alla normalità. Già una volta in conferenza stampa aveva parlato delle truffe che si sono consumate sui bonus, facendo infuriare il partito di Conte e in particolare il maggiore sponsor della misura, l'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro. Continuerà a dirlo, e continuerà a non concedere nulla a una narrazione che considera dannosa per il Paese. Ma a pesare in rapporti già molto tesi sono le dichiarazioni del presidente M5S sull'invio di armi all'Ucraina. Sia a Palazzo Chigi che nel governo spiegano che nessuno può pretendere da Draghi una nuova relazione al Parlamento. «Secondo Conte dovrebbe dire che non vuole l'escalation - sferza uno dei ministri più vicini al premier - e cosa dovrebbe dire: viva la guerra? Bombardiamo tutti? È una discussione surreale». Il premier parlerà alle Camere per sua scelta, probabilmente già nei prossimi giorni, ma la risoluzione votata a marzo dà la possibilità al governo di agire per gli aiuti all'Ucraina con decreti interministeriali fino al 31 dicembre. Lo sanno i 5 stelle come lo sa Matteo Salvini. Sanno quindi, sia Conte che il segretario leghista, di stare sparando a salve con dichiarazioni che tentano di intercettare un sentimento presente nel Paese, senza per questo essere chiamati a fare alcun reale atto di rottura. Perché un nuovo voto non è previsto e non ci sarà. Con quelle che qualcuno tra i grillini definisce addirittura «provocazioni», Draghi scopre il bluff. Tutti i sondaggi commissionati dai partiti dimostrano che la maggioranza degli italiani ha molte preoccupazioni, ma che nessuno capirebbe una crisi di governo. Gli italiani sono spaventati, non hanno alcuna voglia di trovarsi in mare aperto. Eppure, dentro la maggioranza parlamentare si è fatta strada un'idea molto precisa: arrivare alla primavera del 2023 così è impossibile. Anche perché, spiega un altro ministro, «a ottobre ci sarà il censimento, subito dopo bisognerà ridisegnare tutti i collegi, si rischia di arrivare a maggio. E il primo a non volerlo è proprio Draghi». Il presidente del Consiglio aveva avvisato - subito dopo la brutta avventura del voto per il Colle - che non avrebbe tirato a campare. Non è nella sua natura galleggiare. E non è nemmeno nel suo interesse, perché non è un politico in cerca di rielezione. Deve difendere la sua reputazione, anche a livello europeo, e per questo non può cedere davanti a bandierine che considera dannose: quella anti-Bolkenstein in difesa dei balneari del centrodestra, e quelle di un Movimento che gli stessi alleati vedono troppo ambiguo anche in merito all'invasione russa dell'Ucraina. Così, la voce che gira sempre più insistente tra gli stessi ministri del governo, è che il premier abbia dato mandato al ministro dell'Economia Daniele Franco di anticipare la manovra di Bilancio in modo che sia pronta già in estate. L'unica mossa che permetterebbe a Sergio Mattarella di avallare elezioni in pieno autunno. Paradossalmente, l'unico partito in cui nessuno ne parla più è Fratelli d'Italia: Giorgia Meloni sta capitalizzando al meglio il suo posizionamento di unica forza di opposizione e continua a crescere. Soffre la Lega e si vede dallo stato in cui sono i rapporti nel centrodestra, a partire dalle liti in Sicilia. E soffrono Pd e 5 stelle che non vedono più troppe ragioni per stare insieme. Se fosse certo che i gruppi parlamentari lo seguissero, Giuseppe Conte sarebbe già uscito dal governo. È convinto che le ultime mosse di Draghi siano fatte apposta per creargli problemi. E ne sono convinti anche i suoi vicepresidenti, che avvisavano: «Draghi non osi mettere la fiducia sul decreto aiuti, perché stavolta non ci stiamo».Se un tempo il segretario pd Enrico Letta cercava di mediare, quel tempo è finitoDopo il Colle, i rapporti con il leader M5S non sono mai tornati come prima. E anche tra i dem la voglia del voto si fa sempre più spazio: perché un conto era arrivare alla prossima primavera sull'onda della ripresa post Covid, un altro arrivarci in mezzo a una crisi da stagflazione. Solo una cosa - a sentire tutti gli interessati - può tenere in vita la legislatura dopo le elezioni amministrative, nelle quali per il Movimento è previsto un altro bagno di sangue. Ed è che - dopo Letta - anche Salvini e Berlusconi si convincano che l'unico modo di presentarsi alle prossime elezioni sia con una nuova legge proporzionale. Se il Parlamento si mette a lavorare su questo, in modo che negli ultimi mesi ogni partito possa liberamente fare la sua corsa, troverà una ragione per andare avanti. Ma le coalizioni così come sono esistite finora, sono esplose sul Quirinale prima e sulla guerra poi. È difficile che tornino a esistere ora che la caccia al consenso si fa sempre più feroce. «Ogni mossa dei 5 stelle punta a danneggiare noi - dice uno dei massimi dirigenti dem - non è una situazione che possiamo reggere a lungo: le armi, il pacifismo, l'ambiente. Vogliono segnare il punto su tutto e così non andiamo lontano». Non sarà certo Draghi a cercare di ricucire tutto questo. Anzi. L'unico obiettivo del presidente del Consiglio è portare a compimento nel modo migliore possibile gli impegni presi con l'Europa. Fa asse col ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, che continua a lodare (lo ha fatto anche ieri a Strasburgo). Con il capo della Farnesina Luigi Di Maio, con cui ha un rapporto sempre più saldo. Non è un caso che proprio i deputati più vicini al ministro degli Esteri ieri a Montecitorio fossero furiosi per l'astensione sul decreto aiuti. Considerata una mossa suicida fatta per un puntiglio ideologico. Non seguirebbero Conte fuori dall'esecutivo, semmai una decisione del genere fosse presa. Ma non è sulle armi che a Palazzo Chigi temono i veri inciampi: che potrebbero invece esserci su temi sui quali posi costruire una campagna elettorale all'attacco. La casa, il catasto, le tasse. Insomma, è solo l'inizio. --© RIPRODUZIONE RISERVATA