Il dramma delle madri
Elisa Coloni«I nostri figli stanno morendo. Stanno morendo solo perché noi tutti volevamo la libertà». È in lacrime, Halyiva Makh, badante residente a Trieste da 18 anni, con due figli e quattro nipoti in Ucraina, a Leopoli, ostaggio di una guerra che in molti, lei compresa, non ritenevano neppure immaginabile fino a pochi giorni fa. Halyiva è una di quelle madri dell'Est che, come racconta lei stessa, hanno lasciato il loro Paese per venire in Europa, fare fatica, stare lontano dai propri cari, pur di dare ai figli un futuro migliore, un benessere e una vita che loro non hanno potuto avere: «E ora si ricomincia daccapo», commenta sgomenta, disperata, infuriata per quel che sta succedendo. Accanto a lei, una dozzina di persone, quasi tutte donne, che ieri alle 14 si sono riunite, come d'abitudine, nel Seminario vescovile di via Besenghi per pregare durante la funzione celebrata da don Ivan Brodviy, parroco ad Aquilinia, anch'egli ucraino. Una messa per trovare un po' di conforto, piangere, parlare dei rispettivi figli. Quasi tutti sono in lacrime, si commuovono. All'inizio non voglio esprimersi, ma poi si aprono e prevale la voglia di raccontare. Cercano di farti capire che cosa si prova a stare qui, impotenti, quando a casa tua figli, fratelli e nipoti rischiano di crollare assieme a una casa colpita da un missile russo. La paura di non sapere, non capire e non poter fare niente: «Quando chiamo e il telefono non squilla - dice ancora Halyiva - ho paura. Temo che sia successo qualcosa, è terribile. La situazione è molto grave e stiamo vivendo molto male. Quello che mi tormenta è che abbiamo fatto tanti sacrifici per anni, affinché i ragazzi avessero un futuro migliore, ma adesso cominciamo tutto daccapo. Mi rivolgo anche alle madri della Russia, che capiscano dove mandano i loro figli, cosa li mandano a fare, chi vogliono uccidere e cosa vogliono ottenere. Noi - continua - siamo nella nostra terra, proteggiamo la nostra terra, non siamo mai andati a prendere altre terre, mai invaso nessuno, vogliamo solo proteggerci. Perché dobbiamo sempre soffrire? Perché i nostri figli devono morire? Per che cosa? Per essere liberi, di andare a scuola, lavorare, vivere? Aiutateci. L'Italia e l'Europa - implora - facciano qualcosa: non dobbiamo aver paura di un uomo solo. Mi chiedo perché l'Italia non stia facendo quello che aveva detto - prosegue Halyiva Makh -. Mi rivolgo a tutti: vi prego aiutateci, pensate a noi».Whatsapp, Viber e tutte le altre app di messaggistica esistenti sono la loro ancora di salvezza, emotiva e non solo: «I conti sono bloccati - raccontano - e non possiamo mandare soldi ai nostri cari per aiutarli, i trasferimenti vengono fermati. Non possiamo nemmeno farli arrivare qui, perché è tutto sbarrato». Lesya Babiy è da tre anni a Trieste, anche lei badante, assiste un'anziana. Viene da Uman, una città dell'Ucraina centrale, a sud di Kiev, più o meno a metà strada tra la capitale e Odessa, sul Mar Nero. A questa guerra non vuole ancora credere: «I miei cari dormono in auto, nascosti, perché non sanno dove andare - racconta -. Ma fa freddo, non si può stare per giorni interi in auto con dei bambini». Lei in Ucraina ha figli, una nipote di cinque anni, sorella, suocera, altri parenti, altri amici. «Sono in pericolo, rischiano di morire. Non sappiamo cosa fare, non riusciamo a mandare niente più da loro, soldi, cibo, niente». Lesya si sente impotente e questo la rende disperata e furiosa allo stesso tempo: «Non possiamo essere lasciati soli, tutti devono fare qualcosa, impedire questo massacro. Servono sanzioni forti, serve una reazione per non lasciare da solo un intero Paese». Qualcuno non se la sente di parlare; qualcun altro si sfoga in lacrime ma non vuole entrare nel dettaglio della propria situazione familiare. Di certo per tutti una cosa è chiara: hanno paura che l'Occidente abbia paura. Di Putin, del ricatto del gas, della possibilità che muovendo una pedina esploda un disastro irreparabile, e che tutti questi timori portino a una timidezza e un'inconcludenza che lascerà l'Ucraina nel totale abbandono: «Ci stanno lasciando tutti soli, tutti hanno paura - dicono i fedeli riuniti in via Besenghi -. Ma abbiamo bisogno che qualcuno faccia qualcosa e che non si permetta una simile aggressione, a un Paese indipendente». --© RIPRODUZIONE RISERVATA