«La democrazia è in pericolo senza immunità parlamentare»

l'intervistaRiccardo De TomaIl populismo dilagante che ha segnato gli ultimi dieci anni di vita politica italiana ha radici lontane. Radici che risalgono allo smantellamento dell'immunità parlamentare nel 1993, con la riscrittura dell'articolo 68 della Costituzione, e alle elezioni politiche del 1994, «quelle che hanno introdotto in Italia il nefasto o di qua, o di là». È nel clima giustizialista del dopo Tangentopoli che si consumò quella "Eutanasia della democrazia" di cui parla Giuseppe Benedetto, presidente della Fondazione Einaudi, nel suo ultimo saggio, edito da Rubbettino con la prefazione di Sabino Cassese. Una tesi che poggia su un'accurata ricostruzione storica dell'articolo 68, dalla fase costituente all'iter parlamentare della legge che ne sancì la modifica, e su un'analisi comparata tra il nostro ordinamento e quelli delle altre grandi democrazie. Benedetto ne parlerà stamattina a Pordenone (alle 11 in Municipio, presenti il sindaco Alessandro Ciriani, il senatore Luca Ciriani e il presidente del Tribunale Lanfranco Tenaglia) e poi alle 18 al caffè Tommaseo di Trieste, nel corso di una tavola rotonda, moderata dal direttore del Piccolo e del Messaggero Veneto Omar Monestier, con gli interventi del presidente della Regione Massimiliano Fedriga, del vescovo Giampaolo Crepaldi e di Gian Piero Gogliettino, presidente nazionale Ancal.Presidente, non crede che quello dell'immunità parlamentare sia un tema un po' fuori moda, per non dire impopolare?«Siamo una Fondazione, non un partito: nessun timore di essere impopolari, quindi. E poi, come diceva Marco Pannella difendendo l'immunità parlamentare, abbiamo il compito di essere impopolari, in alcuni momenti, per non essere antipopolari. Ci tengo però a sottolineare che questa sull'articolo 68 segue il solco di un'altra iniziativa della Fondazione, quella contro il taglio dei parlamentari. Quando ci battemmo per promuovere il referendum costituzionale un suo famoso collega mi disse che avremmo portato alle urne il 3% degli elettori. Invece il 31% votò no, quasi un italiano su tre».Che rapporto c'è tra quel referendum e il tema dell'immunità parlamentare?«Il nocciolo della questione, in entrambi i casi, è la difesa della democrazia parlamentare, quella dove uno non vale uno, ma uno vale tutti, per dirla con Voltaire. In gioco non c'è l'immunità del singolo deputato o senatore, ma il ruolo e l'autonomia del Parlamento. Di questo si preoccuparono i nostri padri costituenti, figure come Luigi Einaudi, Piero Calamandrei, Costantino Mortati, dopo vent'anni di fascismo, avendo ben chiaro quanto fosse decisivo tutelare il ruolo del potere legislativo e garantire l'equilibrio tra i poteri».Eutanasia della democrazia è un concetto un po' forte. Perché?«Perché con la nuova formulazione dell'articolo 68 l'equilibrio voluto e costruito dai padri costituenti viene meno, per lasciar posto a un sistema in cui da un lato c'è la cancellazione dell'immunità processuale dei parlamentari, dall'altro il massimo livello di autonomia e insindacabilità della magistratura. Nei confronti dei parlamentari, in sostanza, abbiamo norme simili a quelle dei Paesi anglosassoni, senza però che il ruolo del potere giudiziario e l'esercizio dell'azione penale trovino un limite nel controllo del potere esecutivo, come avviene invece in Gran Bretagna, o negli Stati Uniti, dove troviamo anche l'elezione diretta del Public Prosecutor. Uno squilibrio evidente e lesivo del ruolo del Parlamento, che fa dell'Italia un unicum nell'ambito delle principali democrazie». --